"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Savater a ruota libera

Abbiamo incontrato il filosofo spagnolo Fernando Savater. Scrittore prolifico, tradotto in più di venti lingue, è autore di numerosi saggi, romanzi e opere teatrali che hanno riscosso grande successo, come Etica per un figlio, dove rende la filosofia accessibile ai più giovani. Confinato a San Sebastián, nei suoi natali Paesi Baschi, è con tono gioviale e linguaggio chiaro che Fernando Savater ci offre alcune riflessioni a ruota libera sulla "vita normale", l'educazione 2.0, il complottismo, l'etica e la condizione umana. Più avanti, quando evoca la lingua francese, affluiscono ricordi: ci parla di Cioran, Tintin o ancora Clément Rosset e ci invita a seguirlo nel suo gusto per la "gaia scienza".


Cioran raccomandava il fai-da-te e la musica di Bach come rimedio alla noia. Come ha vissuto l'isolamento a San Sebastián?

In effetti, penso che sia qualcosa di personale e che dipenda davvero da ciascuno di noi. Quello che faccio per superare la noia è quasi lo stesso di quello che ho fatto quando non ero in isolamento, vale a dire guardare film e leggere buoni libri. Purtroppo, l'unica cosa che non posso fare oggi è seguire le corse dei cavalli. Mi manca molto ma affronto pazientemente il mio dolore. Infine, non mi lamento: San Sebastián è il posto migliore per essere confinati, anche se pure Valencia non è affatto male! (ride)

Alcuni predicono un "mondo nuovo" alla fine della crisi, da altri giungono appelli per un "ritorno alla normalità". Cosa le ispirano queste due idee?

In ogni caso, ciò che voglio è una vita normale (ride). Non voglio un mondo nuovo. Nel corso della storia, abbiamo conosciuto molte pestilenze, guerre, massacri, catastrofi e credo che non ne derivi nulla di buono. Certo, al termine di questa crisi potremmo apprendere due o tre cose concernenti la nostra sopravvivenza. Ma quello che voglio è che ci liberiamo di questo virus e che possiamo finalmente uscire come prima e riprendere il corso della nostra vita normale. In breve, voglio che recuperiamo tutto ciò che avevamo perso e che è stato molto buono.

Si è parlato di "guerra". In questa guerra, il nemico (il virus) è potenzialmente ovunque. Come non cadere in paranoia?

Impiegare l'espressione "guerra" è stata a mio avviso una sfortunata metafora inventata da alcuni governi che, con il pretesto della guerra, vorrebbero fare ciò che vogliono. Non c'è guerra perché questo virus non è un nemico. Non è un nemico consapevole che ci attaccherebbe. Con i nemici, almeno, possiamo scendere a compromessi, trovare un accordo. Con un virus, per quanto ne so, è impossibile! Quando c'è un'alluvione, un terremoto o qualsiasi altro disastro naturale, non diciamo che siamo in uno "stato di guerra". Ciò che stiamo vivendo attualmente è un disastro naturale su scala globale. Penso che si debba stare attenti a questo uso metaforico della guerra perché lo si può utilizzare per giustificare molte cose in maniera interessata.

Direbbe che questo virus sfida i nostri stili di vita? È necessario scrivere una nuova etica per Amador?

Non vedo alcuna ragione per la quale questa epidemia metterebbe a repentaglio il nostro stile di vita (ride). Beh, in effetti, lo stile di vita delle persone che mangiano pipistrelli e pangolini è messo in discussione perché ci rendiamo conto della necessità di rispettare rigide norme igieniche per il cibo che mangiamo. Nel Medioevo, le epidemie erano comuni in Europa perché l'igiene non era sufficiente e credo che per fortuna abbiamo fatto progressi su questo punto. D'altra parte, in un paese come la Cina o in alcune regioni dell'Africa, sfortunatamente non sono in vigore le stesse norme di igiene e si possono mangiare animali selvatici in varie forme. È una pratica che dovrebbe essere vietata. A parte questo, non credo che i nostri modi di vivere abbiano a che fare con questa pandemia.

Abbiamo scoperto che la scienza non è onnisciente e che la politica non ha risposte a tutto. È un invito alla modestia?

Credo che sia soprattutto un invito al buon senso. A questo punto, sappiamo tutti che la politica non è per tutto e, a volte, data la goffaggine dei nostri leader, possiamo anche dubitare che serva a qualcosa. La scienza è molto importante perché risolve molte cose, ma non può fare tutto. La scienza dipende dalle nostre conoscenze e queste sono limitate. Siamo esseri limitati e non possiamo aspirare all'assoluto.

Questa crisi sanitaria ha messo in luce la morte. Che ci insegna essa sul nostro rapporto con la morte?

Mi pare che avessimo già conosciuto prima la morte. Non abbiamo avuto bisogno di aspettare questa pandemia per conoscere la morte. Sin dagli inizi dell'umanità abbiamo sofferto di questa epidemia che è la morte. Dirò una banalità, ma la morte è mortale nel cento per cento dei casi! Questa è l'unica certezza riguardante la specie umana: soffriamo dell'epidemia della morte nel cento per cento dei casi! L'umano è sempre in balia della morte. Quello che abbiamo visto accadere sotto i nostri occhi è una nuova causa di morte e un accumulo di decessi in un breve periodo di tempo. A volte i decessi accadono in circostanze drammatiche: incidenti stradali, incidenti aerei, ecc. Di fatto, abbiamo visto i morti accumularsi ed è giunto un momento nel quale il numero dei morti era tale che non abbiamo potuto dir loro addio secondo le regole e i riti propri della nostra civiltà. Questo è un trauma per molti di noi.

Direbbe, come altri filosofi, che abbiamo perso il senso del tragico?

Questa è una stupidaggine! Ultimamente, abbiamo notato che quelli che normalmente vengono chiamati "filosofi" sono persone che si danno da fare a pronunciare tutti i tipi di luoghi comuni, cliché, assurdità o persino enormità che non significano assolutamente nulla. Quando pensiamo a cosa stavano facendo "persone serie" come Aristotele o Kant, ci diciamo che si è lasciata la filosofia in pessime condizioni... Ora i nostri "filosofi" sono "piccoli personaggi" del pensiero che si credono obbligati a intervenire su tutto dicendo non importa che cosa.

Siamo vulnerabili di fronte alla morte. Potrebbe parlarci della solidarietà che, come ha scritto, trasforma una "moltitudine in società"?

È precisamente da là che viene l'etica. Il fondamento dell'etica è la vulnerabilità umana. Se fossimo invulnerabili come gli dei immortali dell'Antichità, non avremmo bisogno della morale. I primi cristiani furono molto sorpresi nel vedere quanto fossero "immorali" gli dei pagani: commettevano tutti i tipi di atrocità e si divoravano tra loro. Questi primi cristiani non potevano capirli! Hanno proiettato un'etica "umana" su esseri immortali che non hanno, per definizione, bisogno di caricarsi di principi morali. Quello che fa l'etica è precisamente la nostra condizione fragile e vulnerabile. Dobbiamo prenderci cura di noi per non "spezzarci" gli uni gli altri. La nostra condizione precaria ce l'impone.

L'umanità si è data il compito di salvare l'intero pianeta. Significa che la salute è diventata il valore assoluto delle nostre società?

Prima di tutto, non sono sicuro che l'umanità si sia data questa missione. In ogni caso, se l'ha fatto, non mi ha consultato. Non ero presente quando ha preso questa decisione (ride). Penso che l'unico progetto che dovrebbe avere è prendersi cura di se stessa. Il pianeta non m'interessa che nella misura dove vivo. È evidente che se lo danneggiamo, ne subiremo le conseguenze. Se non fossi sulla terra, non mi importerebbe. Il problema è che viviamo tutti sullo stesso pianeta e che non abbiamo un pianeta di ricambio. Quindi, in effetti, la salute è un elemento importante ma non è il valore assoluto. Non è vero che la salute è al di sopra di ogni altra cosa. La salute è una condizione necessaria, ma non è un valore. È un bene indispensabile, un prerequisito, ma non è un valore. I valori sono la giustizia, la solidarietà, l'amicizia ecc.

Cosa le ispira il "principio di precauzione"? Avrà un impatto sulle nostre libertà?

Un fatto importante nelle nostre attuali società è che siamo in una forma di prossimità e contatto permanente. Viviamo circondati da centinaia di migliaia di persone che si spostano facilmente da un punto all'altro del globo. In passato, va ricordato, gli esseri umani non conoscevano più di trecento-quattrocento persone in una scala di vita. Vivevano in villaggi dove c'era poco o nessun mezzo di trasporto. Oggi, ognuno di noi, semplicemente tramite Internet, in pochi clic, ha accesso a un viaggio digitale che ci consente di conoscere centinaia di migliaia di persone. Questo ha i suoi vantaggi e ce ne sono molti, ovviamente. Apre mondi e orizzonti che sono stati completamente chiusi e insospettati fino ad ora. Ma anche questo ha i suoi problemi: ci sono migliaia di persone che ogni giorno entrano in collisione con le nostre vite. In queste condizioni, bisogna prestare attenzione a non pestare i piedi del proprio vicino. Dobbiamo prendere più precauzioni per preservarci e non scioglierci, dissolverci, nello stampo di questa moltitudine.

Come vede il "complottismo" che infuria sulle reti sociali? Esiste un vaccino contro questo fenomeno? 

Temo di no. Penso perfino che peggiorerà. Ricordo che un giorno mentre stavo parlando con Umberto Eco, a una svolta della conversazione, Umberto mi disse: "il problema non è che ci sono più imbecilli di prima, è che adesso ogni imbecille ha un mezzo d'espressione". In effetti, prima, si potevano incontrare molti imbecilli per la strada, ma non si sapeva se lo fossero veramente. Non intervenivano nelle nostre vite. Non si dovevano subire le loro opinioni e ricevere i loro messaggi. Oggi, purtroppo, tutti gli imbecilli hanno un mezzo d'espressione a portata di mano e quindi hanno voce in capitolo. Entrano nelle nostre vite. È un processo inevitabile. È come una macchia che ci sporca dentro e che inquina il dibattito pubblico.

Ha scritto molto sull'importanza dell'educazione nella nostra vita. Cosa le ispira l'istruzione a distanza?

Mi preoccupa. Durante questo confinamento, le relazioni virtuali e il telelavoro hanno ovviamente acquisito molta importanza. Tuttavia, sono preoccupato che l'educazione stia diventando qualcosa che sta accadendo a distanza. Nell'istruzione c'è una parte "informativa" che può adattarsi perfettamente a questa distanza. Dopotutto, utilizziamo bene Internet per ottenere informazioni in tutte le aree di conoscenza. Resta il fatto che l'educazione è qualcosa che richiede una presenza. Nella vita umana ci sono cose che devono essere fatte "corpo a corpo": l'amore, l'educazione, sono cose che non si possono fare "virtualmente". Nessuno può imparare a vivere senza vedere vivere gli altri esseri umani. La vicinanza degli esseri umani ci insegna le abilità della vita. La formazione personale di ciascuno deve essere fatta da "te a te". Uno schermo non può sostituire una relazione di quest'ordine e quindi non può rimpiazzare gli insegnanti. La forza della presenza umana, il "vedere dal vivo", vale a dire come una persona incarna la conoscenza, è fondamentale nella formazione di un essere umano. In effetti, non si tratta semplicemente di trasmettere una conoscenza "informativa" (una raccolta di informazioni), questa conoscenza deve incarnarsi in una persona e, quindi, nella sua vita. Questa è la lezione che dobbiamo apprendere.

Ha tradotto Emil Cioran in spagnolo e mostra un grande interesse per la cultura francofona. Può parlarci del suo rapporto con questa cultura e degli autori che ha letto?

Posso dire che ho avuto un'istruzione completamente francese! Ho imparato a leggere e a parlare francese - a metà (ride) - a quattro-cinque anni. Nei Paesi Baschi, a quel tempo, era normale che i bambini crescessero con una governante francese. Questa "mademoiselle" ci ha accompagnato, ci ha insegnato il francese e, nel mio caso, ha avuto una grande influenza nella mia vita. Era una professoressa eccezionale con una personalità molto grande! A partire da quel momento, ho letto in francese costantemente. Ogni fine settimana andavamo a Biarritz o Bayonne e ricordo di aver comprato lì le storie di Tintin. Siccome mi piaceva molto Tintin, ma mi vergognavo di parlare francese, mia madre mi costringeva a entrare da solo nei negozi perché parlassi poter con i venditori. È grazie a Tintin e a mia madre che ho osato parlare francese! Più tardi, mi sono messo a leggere molti "classici" francesi che non venivano venduti in Spagna sotto la dittatura... A partire da Sartre e Simone de Beauvoir, ovviamente. Ma il francese mi ha permesso di leggere anche autori di lingua spagnola che nessuno leggeva all'epoca. Per esempio, le prime opere di Borges, le ho lette in francese nella traduzione di Roger Caillois! Grazie al francese, ho quindi letto molti libri interdetti sotto la dittatura o molto difficili da trovare... Penso che il francese mi abbia dato un piccolo vantaggio sui miei compatrioti (ride)! In seguito, come hai detto bene, ho tradotto Cioran, ma anche Voltaire e numerosi autori del secolo dei Lumi che hanno una grande influenza nel mio pensiero. Posso anche dire che ho più libri in francese che in spagnolo nella mia biblioteca!

E mi sembra che lei abbia anche conosciuto Clément Rosset, uno dei grandi amici di Cioran?

Sì, assolutamente! Credo di essere stato modestamente uno dei primi, se non il primo, a scoprirlo e farlo conoscere in Spagna. Nel 1970, nel mio primo libro Nihilismo y acción, già citavo Clément Rosset che era allora un perfetto sconosciuto in Spagna e oltretutto molto poco conosciuto in Francia. Ho intrattenuto una corrispondenza costante con Cioran che, come hai detto, era un grande amico di Clément Rosset. Fu quindi per sua intermediazione che incontrai Rosset con il quale pure ho intrapreso una corrispondenza e ricordo benissimo la prima volta che venne a Madrid. Ai miei occhi, Clément Rosset è stato uno dei filosofi contemporanei più importanti!

(Intervista di Paul Pierroux-Taranto da Le Petit Journal. Nostra traduzione)