Alain de Benoist su Europa, identità e sovranismo.
Il sovranismo sembra tornare di moda. Sempre più personalità, ma anche intellettuali, ora lo rivendicano. Dobbiamo enumerarla tra loro?
Ho molti amici sovranisti, dei quali spesso condivido le diagnosi. Non ho problemi, non più, a pensare come Michel Onfray, che "il contrario del sovranismo è il vassallaggio, la sottomissione, la dipendenza, l'assoggettamento, la tutela", in breve, la servitù. Ma, personalmente, non mi definirei affatto come un sovranista, perché è fin troppo ovvio che il termine è equivoco e che può riferirsi a cose molto differenti. L'unica cosa certa è che il sovranismo è rigorosamente incompatibile con il liberalismo, che rifiuta qualsiasi forma di sovranità politica in quanto costituisce una minaccia alla libertà individuale.
Ricordiamo anche che sovranismo e identità non procedono necessariamente di pari passo. Una nazione che ha perduto la sua identità può ben essere sovrana, un paese dotato di una forte identità può non esserlo del tutto. È ovviamente auspicabile che l'una e l'altra procedano di pari passo (la sovranità garantendo allora il mantenimento dell'identità), ma questo non è affatto automatico. È necessario sapere, inoltre, che si intende per sovranità: l'autonomia o l'indipendenza? Queste due parole non sono affatto sinonimi, poiché il desiderio di sovranità si scontra necessariamente con vincoli naturali. Paesi come la Francia, la Germania o l'Italia possono dotarsi dei mezzi di sovranità, ma la parola non ha lo stesso significato per l'Islanda, la Finlandia o il Principato del Liechtenstein. Infine, in un mondo sempre più interdipendente, l'autosufficienza non si può che concepire che su scala continentale.
La sovranità si declina in tutti i settori: sovranità politica, che è una questione di volontà, sovranità militare, il che implica che si lasci la NATO, sovranità economica ed energetica, ecc.
Possiamo, naturalmente, declinare il termine all'infinito, ma resta che la nozione stessa di sovranità è una nozione politica. Se non c'è sovranità politica, la sovranità non esiste. Il problema è che la democrazia politica rinvia a due cose complementari ma differenti: la sovranità nazionale e la sovranità popolare. Coloro che si definiscono, oggi, sovranisti, hanno spesso in mente soltanto la prima. Per riprendere una distinzione introdotta da Régis Debray, sono "repubblicani" più che "democratici" - e questo non è il mio caso. Si dovrebbe, qui, collocare il sovranismo in rapporto a tre diverse famiglie: gli identitari, i "repubblicani" e i populisti. Il punto è che la sovranità popolare è il principio base della democrazia, mentre la sovranità nazionale può benissimo coesistere con una dittatura. Le due cose sono quindi ben diverse. Per me, sovranità politica e sovranità popolare hanno senso solo se le due procedono di pari passo.
A complicare le cose, i sovranisti si riferiscono generalmente, in modo implicito, alla sovranità come definita nel XVI secolo da Jean Bodin (Les Six Livres de la République, trad. it. I sei libri dello Sato): come un potere perpetuo, indivisibile e assoluto, teoria che è servita da fondamento della monarchia assoluta e da principio fondante al giacobinismo dello Stato-nazione. Ma questo modo di concepire la sovranità politica non è l'unico possibile. Johannes Althusius (Politica methodice digesta, 1603), per non citare che lui, sosteneva il contrario, non per una sovranità onnicomprensiva, ma per una sovranità distribuita, dando ampio spazio al principio di sussidiarietà (o principio di competenza sufficiente), all'autonomia della base e alla libertà dei gruppi. Siamo qui in una prospettiva molto diversa, che ci ricorda che l'Europa ha conosciuto, nella sua storia, due grandi forme politiche anche queste ben distinte: lo Stato-nazione nella sua parte occidentale (Francia, Spagna, Inghilterra), l'impero nella sua parte centrale (Germania, Austria-Ungheria, Italia).
L'idea della sovranità europea sembra, oggi, chimerica: in caso di crisi, gli Stati non si affidano che a se stessi, come abbiamo visto con la crisi sanitaria. Una sovranità europea è allora per intanto irraggiungibile?
I sovranisti affermano spesso che la nazione è l'unica struttura nella quale la sovranità è possibile. In fondo pensano, come Maurras, che la nazione è "il più vasto dei circoli comunitari che siano, temporalmente, solidi e completi" e che la sovranità politica non si può che esercitare su questa scala. Aggiungono, in generale, che un'Europa politica è impossibile perché non c'è popolo europeo, dimenticando che non c'era nemmeno un popolo francese quando lo stato francese iniziò a esistere. (e che, nel 1789, la maggioranza dei Francesi non parlava francese). Non condivido questa opinione. Ritengo che alla fine un'Europa politicamente unificata è perfettamente possibile, e che soprattutto è necessaria. Comprendo molto bene che, nella situazione attuale, ci si ripiega sulle sovranità nazionali (o su quello che ne resta), ma sono convinto che non si può agire che su un punto fermo. In un mondo multipolare, l'avvenire sta nei grandi insiemi di civiltà e continentali. "Europa delle nazioni" è una formula simpatica, ma è sinonimo di un'Europa impotente, poiché i governi sono incapaci di accordarsi su politiche comuni. Nell'immediato, è l'Unione europea, vera anti-Europa, che deve scomparire - perché non è (non più) riformabile - perché ha voluto fare dell'Europa un mercato mentre quella deve diventare una potenza autonoma, allo stesso tempo un crogiolo di cultura e di civiltà.
Il sovranismo sembra tornare di moda. Sempre più personalità, ma anche intellettuali, ora lo rivendicano. Dobbiamo enumerarla tra loro?
Ho molti amici sovranisti, dei quali spesso condivido le diagnosi. Non ho problemi, non più, a pensare come Michel Onfray, che "il contrario del sovranismo è il vassallaggio, la sottomissione, la dipendenza, l'assoggettamento, la tutela", in breve, la servitù. Ma, personalmente, non mi definirei affatto come un sovranista, perché è fin troppo ovvio che il termine è equivoco e che può riferirsi a cose molto differenti. L'unica cosa certa è che il sovranismo è rigorosamente incompatibile con il liberalismo, che rifiuta qualsiasi forma di sovranità politica in quanto costituisce una minaccia alla libertà individuale.
Amy Diamond in versione europea |
Ricordiamo anche che sovranismo e identità non procedono necessariamente di pari passo. Una nazione che ha perduto la sua identità può ben essere sovrana, un paese dotato di una forte identità può non esserlo del tutto. È ovviamente auspicabile che l'una e l'altra procedano di pari passo (la sovranità garantendo allora il mantenimento dell'identità), ma questo non è affatto automatico. È necessario sapere, inoltre, che si intende per sovranità: l'autonomia o l'indipendenza? Queste due parole non sono affatto sinonimi, poiché il desiderio di sovranità si scontra necessariamente con vincoli naturali. Paesi come la Francia, la Germania o l'Italia possono dotarsi dei mezzi di sovranità, ma la parola non ha lo stesso significato per l'Islanda, la Finlandia o il Principato del Liechtenstein. Infine, in un mondo sempre più interdipendente, l'autosufficienza non si può che concepire che su scala continentale.
La sovranità si declina in tutti i settori: sovranità politica, che è una questione di volontà, sovranità militare, il che implica che si lasci la NATO, sovranità economica ed energetica, ecc.
Possiamo, naturalmente, declinare il termine all'infinito, ma resta che la nozione stessa di sovranità è una nozione politica. Se non c'è sovranità politica, la sovranità non esiste. Il problema è che la democrazia politica rinvia a due cose complementari ma differenti: la sovranità nazionale e la sovranità popolare. Coloro che si definiscono, oggi, sovranisti, hanno spesso in mente soltanto la prima. Per riprendere una distinzione introdotta da Régis Debray, sono "repubblicani" più che "democratici" - e questo non è il mio caso. Si dovrebbe, qui, collocare il sovranismo in rapporto a tre diverse famiglie: gli identitari, i "repubblicani" e i populisti. Il punto è che la sovranità popolare è il principio base della democrazia, mentre la sovranità nazionale può benissimo coesistere con una dittatura. Le due cose sono quindi ben diverse. Per me, sovranità politica e sovranità popolare hanno senso solo se le due procedono di pari passo.
A complicare le cose, i sovranisti si riferiscono generalmente, in modo implicito, alla sovranità come definita nel XVI secolo da Jean Bodin (Les Six Livres de la République, trad. it. I sei libri dello Sato): come un potere perpetuo, indivisibile e assoluto, teoria che è servita da fondamento della monarchia assoluta e da principio fondante al giacobinismo dello Stato-nazione. Ma questo modo di concepire la sovranità politica non è l'unico possibile. Johannes Althusius (Politica methodice digesta, 1603), per non citare che lui, sosteneva il contrario, non per una sovranità onnicomprensiva, ma per una sovranità distribuita, dando ampio spazio al principio di sussidiarietà (o principio di competenza sufficiente), all'autonomia della base e alla libertà dei gruppi. Siamo qui in una prospettiva molto diversa, che ci ricorda che l'Europa ha conosciuto, nella sua storia, due grandi forme politiche anche queste ben distinte: lo Stato-nazione nella sua parte occidentale (Francia, Spagna, Inghilterra), l'impero nella sua parte centrale (Germania, Austria-Ungheria, Italia).
L'idea della sovranità europea sembra, oggi, chimerica: in caso di crisi, gli Stati non si affidano che a se stessi, come abbiamo visto con la crisi sanitaria. Una sovranità europea è allora per intanto irraggiungibile?
I sovranisti affermano spesso che la nazione è l'unica struttura nella quale la sovranità è possibile. In fondo pensano, come Maurras, che la nazione è "il più vasto dei circoli comunitari che siano, temporalmente, solidi e completi" e che la sovranità politica non si può che esercitare su questa scala. Aggiungono, in generale, che un'Europa politica è impossibile perché non c'è popolo europeo, dimenticando che non c'era nemmeno un popolo francese quando lo stato francese iniziò a esistere. (e che, nel 1789, la maggioranza dei Francesi non parlava francese). Non condivido questa opinione. Ritengo che alla fine un'Europa politicamente unificata è perfettamente possibile, e che soprattutto è necessaria. Comprendo molto bene che, nella situazione attuale, ci si ripiega sulle sovranità nazionali (o su quello che ne resta), ma sono convinto che non si può agire che su un punto fermo. In un mondo multipolare, l'avvenire sta nei grandi insiemi di civiltà e continentali. "Europa delle nazioni" è una formula simpatica, ma è sinonimo di un'Europa impotente, poiché i governi sono incapaci di accordarsi su politiche comuni. Nell'immediato, è l'Unione europea, vera anti-Europa, che deve scomparire - perché non è (non più) riformabile - perché ha voluto fare dell'Europa un mercato mentre quella deve diventare una potenza autonoma, allo stesso tempo un crogiolo di cultura e di civiltà.
(Nicolas Gauthier intervista Alain de Benoist, «À terme, une Europe politiquement unifiée est parfaitement possible et surtout nécessaire», Boulevard Voltaire. Nostra traduzione)