"Sarebbe bello trovare la pietra filosofale, ma non è possibile" dice in sostanza il pilota Sebastian Vettel commentando i funesti risultati ottenuti fin qui dalla sua scuderia Ferrari.
A beneficio dei profani (non di sport automobilistici ma di miscele alchemiche) consentiteci dunque di ricordare di che si stratta (voce Pietra filosofale in Enciclopedia Italiana, Treccani).
Il chimico, alchimista, astronomo, astrologo, filosofo e farmacista Abu Musa Jabir ibn Hayyan, noto come Geber (721-815) |
Dunque: la fabbricazione o la scoperta della pietra filosofale era lo scopo supremo dell'alchimia, cioè di quel complesso di teorie e tecniche che assumevano la loro ispirazione dalle pratiche tendenti a ottenere la trasmutazione dei metalli vili in oro, la pietra filosofale appunto, l’elisir di lunga vita. Il termine deriva dall’arabo kīmiyā’, uno dei nomi del reagente per la trasformazione dei metalli, detto in Occidente lapis philosophorum o pietra filosofale. Elementi di cultura alchimistica sono presenti sia nell’antica civiltà cinese sia in quella indiana, ma l’alchimia che ha più influenzato la cultura occidentale nacque in Egitto nel 1° secolo d.C. Attraverso il centro culturale di Alessandria e la cultura siriaca, l’alchimia ellenistica si trasmise alla civiltà islamica. Fondatore dell’alchimia araba viene considerato Giābir ibn Ḥayyān, il Geber della tradizione medievale europea (vissuto, pare, nel sec. 8°).
Bene, che cosa propriamente fosse la pietra filosofale è arduo dire, soprattutto perché l'interpretazione del linguaggio alchemico segue vie divergenti: per gli uni, i più, la pietra filosofale è una fantasiosa composizione chimica, invano cercata dagli alchimisti, la quale avrebbe dovuto possedere straordinarie virtù, come quella di trasformare qualsiasi metallo vile in oro. Altri, però, non sono di questo parere, e notano come in molti testi alchemici si affermi esplicitamente che l'"opus magnum" non è opera materiale. Da essi il detto di Basilio Valentino "Visita interiora terra, rectificando invenies occultum lapidem" è interpretato nel senso che la "terra" indichi l'individuo corporeo, e che il "trovare la pietra nascosta", al pari del diventare "immobile come se fussi una pianta o una pietra naturale", di cui parla un testo attribuito al Campanella, corrisponda simbolicamente a un'esperienza interiore, cercata e vissuta per fini di sviluppo spirituale.
La "pietra dei filosofi" così intesa (e conferme di questa interpretazione vengono arrecate in base ai più diversi testi, dal Geber al Cosmopolita ad Agrippa al Della Riviera) non è però la "pietra filosofale", a cui essa sta come la materia prima all'opera perfetta: per giungere a questa, occorre una lunga serie di operazioni, che, secondo la tesi qui esposta, vengono parimenti descritte sotto il velame del simbolismo alchemico.