È stato Reche a osservare che mai i Greci avrebbero adoprato la parola “arcobaleno” (iris) per designare l’iride della pupilla (come i Tedeschi: Regenbogenhaut = iride) se avessero avuto occhi scuri. Solo un popolo con occhi azzurri, o grigi, o verdi può chiamare l’occhio “arcobaleno”: il prisco ceppo degli Elleni apparteneva perciò alla razza nordica.
Frequenti nelle fonti greche sono gli aggettivi xanthòs e xoutòs “biondo”, pyrrhòs “fulvo” e chrysoeidés “aureo”, riferiti ai capelli di uomini o Dei, aggettivi che corrispondono perfettamente al latino flavus, fulvus e auricomus. Diffuse anche espressioni come chrysokàrenos “testa bionda”, o chrysokóme “chioma d’oro”. Lo stesso progenitore degli Ioni e degli Achei sarebbe stato Xoutòs, “il biondo”, fratello di Doro e figlio di Elleno, mitico capostipite della stirpe greca. Che xanthòs significhi veramente “biondo” è rilevabile da Pindaro che chiama xanthos il leone, Bacchilide il colore del grano maturo (III, 56) mentre Platone nel Timeo (68 b) ci spiega che xanthòs (il giallo) si ottiene mescolando “lo splendente col rosso e col bianco” e Aristotele (Dei colori, I, I) afferma che il fuoco e il sole van detti xanthòs.
Che i bambini dei Germani ai Greci già snordizzati apparissero “canuti” non sorprenderà se si tiene presente quel biondo platino quasi bianco di cui sono spesso i capelli dei bambini di pura razza nordica. Il significato di xanthòs come “biondo” ci è dato da qualunque dizionario greco. Come è stato spesso notato, gli eroi e gli dei d’Omero sono biondi: Achille, modello dell’eroe acheo, è biondo come Sigfrido, biondi sono detti Menelao, Radamante, Briseide, Meleagro, Agamede, Ermione. Elena, per cui si combatte a Troia, è bionda, e bionda è Penelope nell’Odissea. Peisandro, commentando un passo dell’Iliade (IV, 147), descrive Menelao xanthokòmes, mégas én glaukòmmatos “biondo, alto e con gli occhi azzurri”.
Karl Jax ha osservato che tra le dee e le eroine d’Omero non ce n’è una che abbia i capelli neri. Odisseo è l’unico eroe omerico bruno, ma l’abitudine a ritrarre gli eroi biondi è così forte che in due passi dell’Odissea (Xlll, 397, 431) anche lui è detto xanthòs. E, d’altronde, Odisseo si differenzia anche per i suoi caratteri psicologici, segnatamente per la sua astuzia: Gobineau vedeva in lui l’eroe “nella cui genealogia il sangue dei guerrieri achei si è fuso con quello di madri cananee”. In genere però, il disprezzo dei Greci d’epoca omerica per il tipo levantino, è scolpita dal loro disprezzo per i Fenici, bollati come “uomìni subdoli”, “arciimbroglioni” (Iliade XIX, 288). Tra gli dei omerici, Afrodite è bionda, come pure Demetra. Atena è, per eccellenza, “l’occhicerulea Atena”. Il termine adoperato è glaukopis, che certo è in relazione anche col simbolismo della civetta, sacra alla dea (glaux = civetta: occhi scintillanti, occhi di civetta), ma che in senso antropomorfico vale “occhicerulea”: Aulo Gellio (Il, 26, 17) spiega glaucum con “grigio-azzurro” e traduce glaukopis con caesia “die Himmelbluaugige“. Pindaro completa il ritratto omerico della dea chiamandola glaukopis e xanthà. Apollo è phoibos “luminoso, raggiante” e anche xoutòs. Era, sposa di Zeus e modello della matrona ellenica, è leukòlenos, “la dea dalle bianche braccia”, tipico tratto della bellezza femminile della razza nordica.
Bianche braccia, piedi d’argento, dita rosate, e altri caratteristici aggettivi che rimandano a un colorito chiaro, sono frequenti nei poemi omerici. Anche Esiodo ci parla d’eroi e di dei biondi: biondo è Dioniso, bionda Arianna, bionda Iolea. La connessione dei canoni estetici d’età arcaica con l’ideale nordico si ricava anche dall’importanza attribuita all’altezza: kalos kai mégas sono due aggettivi che van sempre insieme. Nella descrizione di Nausicaa e di Telemaco nell’Odissea, si sente che l’alta statura è quasi sinonimo di nobile nascita. E’ lo stesso modo di sentire del nostro Medioevo, che ha dipinto tutte le donne bionde e che poneva come condizione della loro bellezza la grandezza della persona (“grande, bianca e fina”), anch’esso per l’influenza d’una aristocrazia d’origine nordica, germanica. In epoca classica, nomi come Leukéia, Leukothea, Leukos, Seleukos (da leukòs “Bianco”) alludono al colorito chiaro, così come Phrynos e Phryne a pelli bianche e delicate, come anche i nomi Miltos, Miltìades, e Milto. Galatéia (da gàla-gàlaktos =latte) è “quella dalla pelle di latte”. Rhodope e Rhodopìs quelle dalla “pelle di rosa”. Non rari i nomi Xanthòs, Xuthìas, Xanthà, come anche Phyrros “fulvo” (da pur = fuoco) e Pyrrha sposa di Deucalione e mitica progenitrice del genere umano.
Verosimilmente le stirpi doriche, ultime venute dal settentrione, e in particolare gli Spartiati, rigorosamente separati dal popolo, dovettero serbare a lungo caratteri nordìci. Ancora nel V secolo, Bacchilide loda le “bionde fanciulle della Laconia”; due secoli prima Alcmane, nel famoso frammento (54) aveva cantato la fanciulla spartana Agesicora “col capo d’oro fino e dal volto d’argento”. Anche le abitudini sportive delle Spartane, il loro costume di fare ginnastica insieme con gli uomini, ci parlano d’una femminilità acerba e atletica che meglio s’immagina in fanciulle di razza nordica che in quelle di razza mediterranea. Eustazio, (IV, 141) vescovo di Salonicco, commentando un passo dell’Iliade, ricordava come la biondezza avesse fatto parte dell’essere spartano. La cosiddetta “fossa dei Lacedemoni” ci ha restituito gli scheletri di 13 Spartani appartenenti alla guarnigione messa in Atene alla fine della guerra del Peloponneso: tre sono quelli di uomini molto alti (1,85; 1,83; 1,78), gli altri di statura superiore alla media, il più piccolo misura 1,60. Breitinger, che ha studiato questi resti scheletrici, rinviene in essi, “almeno una forte impronta nordica”. Ricorderemo che Senofonte segnalava l’alta statura dei Spartani.
Anche le stirpi ioniche, nonostante risiedessero da più tempo sulle rive del Mediterraneo – fatto che aveva condotto a una notevole mescolanza dell’elemento nordico con quello occidentale-mediterraneo – dovettero serbare, specie nell’aristocrazia, un certo ideale nordico. Nel cimitero del Dypilon, in età geometrica, si nota un incremento di brachicefali centroeuropei a spese dei dolicocefali mediterranei. Non si dimentichi che il geometrico nasce in Attica, esattamente come il gotico nasce in Francia, e così come sarebbe incauto affermare che la Francia non sia stata germanizzata solo perché la lingua è rimasta latina, così sarebbe azzardato sostenere che la migrazione dorica non abbia penetrato l’Attica. Nel VII secolo Solone ci parla d’un Crizia – antenato di Platone – coi capelli biondi, xantothrix, e Platone stesso nel Liside e nella Repubblica ci parla della biondezza come qualcosa di non particolarmente raro. I tragici d’età classica, e particolarmente Euripide, ci mostrano una quantità d’eroi e d’eroine bionde. Nelle Coefore di Eschilo (v. 176, 183, 205) la bionda Elettra rinviene un capello biondo presso il sepolcro del padre, e, poco più in là, ravvisa un’orma del piede particolarmente grande e ne deduce che debba trattarsi di suo fratello. Ridgeway per primo suppose che la saga d’Elettra serbasse un’eco della contrapposizione d’una aristocrazia nordica molto più alta delle plebi mediterranee. Nell’Elettra di Euripide (v. 505 e sgg.) apprendiamo che la biondezza è caratteristica degli Atridi, e nell’Ifigenia in Tauride Ifigenia (52/53) ricorda il padre Agamennone “col crine biondo ondeggiante sul capo”. Lo stesso Euripide ci mostra biondi Eracle, Medea, Armonìa.
Il Sieglin ha notato che nei livelli dell’Acropoli inferiori alla distruzione persiana si trovano costantemente statue con capelli dipinti d’ocra gialla o rossa e occhi in verde pallido: è noto il famoso “efebo biondo”. In genere, in tutta l’epoca classica, si mantenne l’usanza di dipingere di biondo i capelli delle statue: Filostrato, nel suo libro sulla pittura (Eikones), scrive che “la pittura dipinge un occhio grigio, l’altro azzurro o nero, i capelli gialli, o rossi, o fulvi”.
Anche la grande Athena Parthenos che sorgeva accanto al Partenone era bionda, ed è stato osservato che l’arte crisoelefantina sorge per ritrarre un’umanità fondamentalmente chiara. Il tipo ritratto dalla plastica ellenica è essenzialmente nordico: “Nelle figure maschili, la grandezza d’animo (megalopsychìa) d’un tipo umano superiore e capace d’una contemplatività spassionata, in quelle femminili il nobile ritegno, l’acerba e pudica ritrosia d’un’anima nobile di razza nordica”. Anche le statuette di Tanagra, analizzate dal Sieglin, si rivelano bionde al 90%, il che non ci sorprenderà gran ché se Eraclido Critico ancora nel III secolo scriveva delle donne della beotica Tebe: “Sono per la grandezza dei corpi, l’andatura e i movimenti, le donne più perfette dell’Ellade. Hanno capelli biondi che portano annodati sul capo” (Bios Hellados, 1, 19).
Una particolare biondezza delle tebane non meraviglia se si considera la penetrazione tracia nell’area eolica, successiva alla migrazione dorica e connessa all’introduzione della cavalleria, le cui tracce linguistiche si avvertono anche oltre l’Adriatico, tra gli Iapigi. Teodorida di Siracusa (Antologia Palatina, VII, 528 e) ci descrive le fanciulle della beotica Larissa che si tagliano le bionde chiome per la morte d’una concittadina. Anche la colonizzazione eolica avrà diffuso caratteri nordici se si pensa che Saffo chiama la figlia Cleide chryseos (frammento 82). La stessa Saffo è chiamata da Alceo (framm. 63) ioplokos, “col crine di viola”, che viene comunemente tradotto “bruna”. In realtà, come ha mostrato il Sieglin, prima del IV secolo, epoca che segna il disseccamento dell’Ellade e la scomparsa dei boschi, in Grecia esisteva solo la specie gialla della viola (viola biflora), quella stessa che oggi cresce in Baviera e in Tirolo. Ióplokos va tradotto perciò con “bionda”: che Saffo fosse “piccola e nera” (mikrà kai mélaina) è una tarda leggenda.
Che anche la grecità di Sicilia avesse con sé caratteri nordici potrebbero suggerirlo quelle fonti che ci descrivono Dionigi, tiranno di Siracusa, biondo e con le lentiggini. In genere, la menzione di tanti biondi tra le figure d’un certo rango, convalida l’idea del Sieglin che blond galt als vornehm. In genere, nel V secolo la biondezza doveva esser ancora sentita come qualcosa di tipico per il vero elleno se Pindaro, nella nona Ode Nemea (v. 17), rivolto agli Argivi presenti, celebra i “biondi Danai”. D’altronde. ancora Callimaco (Inni V, 4), due secoli dopo, poteva esortare le donne di Argo: “affrettatevi, affrettatevi o bionde pelasghe!”. Bacchilide, nell’ode a un vincitore degli stessi giochi nemei, loda i mortali, uomini dell’Ellade tutta, che “con la triennale corona velano le teste bionde”. Lo stesso Bacchilide, in un frammento (V, 37 e sgg.), menziona dei “biondi vincitori” xanthotricha nikasanta.
La grande arte classica, che data da questo secolo, ha ritratto quel tipo alto, con tratti fini e regolari, che è proprio della razza nordica, e quale oggi si può trovare compattamente solo in alcune regioni contadine della Svezia. Anche la razza mediterranea ha tratti regolari, ma è di piccola statura, e quell’impronta più fiera, quel modellato più energico del naso e del mento che fanno la fisionomia classica, sono da ricondursi alla razza nordica: “Ancora Aristotele scrive nella sua Etica Nicomachea che per la bellezza si richiede un corpo grande, di un corpo piccolo sì può dire che sia grazioso e ben fatto ma non propriamente bello. Questo corpo piccolo e grazioso è essenzialmente quello mediterraneo, come appare a uomini di sentire nordico. Per la sensibilità nordica il contenuto fisico e spirituale della razza mediterranea non è sufficiente ad attingere la vera ‘bellezza’, perché qui per la bellezza si richiede una certa gravità interiore, una grandezza d’animo che dai Greci di sensibilità nordica fu sintetizzata nel concetto della megalopsychìa… La figura mediterranea agli occhi dell’uomo nordico apparirà sempre troppo leggera e troppo inconsistente perché i suoi tratti fisici siano ammirati come “belli”.
Nordiche sono la metriótes, la misurata dignità, la enkrateia, la padronanza di sé, la sofrosyne, la coscienziosa ragionevolezza, in cui lo spirito greco ravvisò la sua essenza profonda. L’apollineo e il dionisiaco, questi due poli della civiltà ellenica esplorati da Nietzsche, altro non sono che l’anima nordica delle élites indoeuropee e la sensibilità spumeggiante delle plebi mediterranee.
Dionisiaco è l’entusiastico, lo spumeggiante, il piacere chiassoso e l’indomita ferocia dell’antico Mediterraneo; apollineo il tono sublime, la saggia ponderazione, la pronta decisione del Nord. Ma è proprio nel V secolo, estremo equilibrio dello spirito greco, che la bilancia s’inclina. La crisi delle aristocrazie maturava già da almeno un secolo e Teognide – che in un frammento ricorda la sua gioventù, quando “i biondi riccioli gli cadevan dal capo” – aveva già maledetto la mescolanza del sangue, rovina delle antiche schiatte. Il ceto dirigente ateniese andava incontro alla snordizzazione per l’afflusso di sangue meteco, plebeo, levantino. La conseguenza ne era il volgersi dei migliori ateniesi al modello spartano. Senofonte addirittura si trasferì a Sparta. Platone laconeggiava nella sua Repubblica, dove l’élite dei capi è educata come gli Spartiati, e dove il nuovo stato poggia sull’eugenetica (unire i migliori ai migliori, sopprimere i minorati, etc.) sì che l’ideale finale si configura come allevamento di fanciulli secondo il modello dell’uomo perfetto, e guida dello Stato da parte di un gruppo scelto per un tale compito.
Ma anche Sparta non superò indenne il conflitto peloponnesiaco, che ferì a morte la sua nobiltà guerriera non meno di quel che la seconda guerra mondiale non abbia logorato quella tedesca. E’ un fatto facilmente constatabile che all’eliminazione del sangue più nobile – e da parte lacedemone era il sangue, preziosissimo, dei nordici Spartiati – abbia considerevolmente contribuito la guerra del Peloponneso. Alla battaglia di Leuttra, gli Spartiati finirono col dissanguarsi completamente, sì che quello spartano poteva rispondere ai soldati tebani entrati in Sparta che chiedevano “Dove sono dunque gli Spartani”: “Non ve ne sono più, se no voi non sareste qui adesso”. Il IV secolo è ancora un’epoca di splendore. Ma c’è nella sua luce qualcosa di più caduco e raffinato che sta come la grazia morbida dell’Hermes di Prassitele alle figure acerbamente eroiche dell’arcaismo e a quelle maturamente solari del secolo V. In esso è l’elemento mediterraneo che torna a parlare. In tutti questi caratteri, è stata giustamente ravvisata la presenza di una specie umana più leggera e più leggiadra.
Di fronte a un’Ellade così fortemente snordizzata, non meraviglia che alla fine del IV secolo l’egemonia sia passata alle regioni periferiche, alla Macedonia. I Macedoni, consanguinei dei Dori, il cui nome dovrebbe significare “gli alti”, dovevano conservare, accanto a una monarchia e a un contadinato patriarcali, l’acerbità nordica delle origini. Alessandro, coi suoi occhi azzurri scintillanti, con la pelle così rosea e delicata che lo si poteva vedere arrossire anche sul petto, è una figura nordica. I Macedoni costituirono l’estrema riserva della grecità, che permise nella fase declinante della sua cultura – di espandere la sua civilizzazione per tutto l’Oriente. Una certa fisionomia nordica dovette conservarsi a lungo nell’aristocrazia macedone. Stratonica, figlia di Demetrio Poliorcete e moglie di Seleuco I, era bionda, biondo era Tolomeo Filadelfo, come pure la sorella Arsinoe, “simile all’aurea Afrodite”. In tutta l’epoca ellenistica, l’ideale femminile continuò ad incentrarsi sulla xanthótes, sulla biondezza. Ce lo ricordano i poeti (Apollonio Rodio, l’Antologia Palatina etc.), il famoso epigramma “Eros ama lo specchio e i biondi capelli”, come pure il fatto che tutte le etere d’alto rango d’epoca ellenistica (Doride, Calliclea, Rodoclea, Lais) erano bionde. La frase… ‘i signori preferiscono le bionde’ vale anche per il mondo maschile delle città ellenistiche.
Wilhelm Sieglin, che si è preso la pena di andare a scovare tutti i passi delle fonti greche dove si parli del colore degli occhi e dei capelli, ha potuto dimostrare che dei 121 personaggi della storia greca di cui gli autori ci descrivono i caratteri fisici, 109 sono biondi, e solo 13 bruni. Lo stesso Sieglin ha raccolto le descrizioni dei personaggi della mitologia: delle divinità, 60 hanno capelli biondi, e solo 35 capelli scuri (di cui 29 numi del mare o degli inferi); degli eroi delle saghe, 140 sono biondi e 18 han capelli neri; dei personaggi poetici, 41 biondi e 8 neri. Da tutto ciò sarebbe eccessivo dedurre che in tutte le epoche della storia greca i biondi siano stati in così schiacciante maggioranza. Certo è però che erano numerosi e, soprattutto, davano il tono alla classe dirigente.
Che un certo ideale nordico contrassegnasse il vero elleno fino ai tempi più tardi, potrebbe confermarlo questa notizia del medico ebreo Adimanto, vissuto all’epoca dell’Impero Romano. Egli scrive (Physiognomikà, 11, 32): “Quegli uomini di stirpe ellenica o ionica che si son conservati puri, sono di statura abbastanza alta, robusti, di corporatura solida e dritta, con pelle chiara e biondi… La testa è di media grandezza, la pelosità corporea inclinante al biondo, fine e delicata, il viso quadrato, gli occhi chiari e lucenti … “. E tuttavia, il romano Manilio ormai ascriveva i Greci alle coloratae gentes. Con la scomparsa della biondezza naturale, erano divenuti di moda i mezzi artificiali di colorazione dei capelli, i xanthìsmata. Il verbo xanthìzestai, “tinger di biondo”, passò ad indicare l’adornarsi, il “farsi belli” per eccellenza. Ma non eran questi mezzi che potevano arrestare il processo di snordizzazione del mondo ellenico. Il tipo dell’elleno si avviava ormai ad estinguersi. Ad esso succedeva il graeculus, lo schiavo astuto o lo scaltro retore, il trafficante o la guida turistica, segnato dal marchio di quella furbizia levantina che lo fecero sentire dai Romani come “inferiore”.
(Tratto da Adriano Romualdi, Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni e dal sito Centro Studi Laruna)