Un assist, forse, alla chiesa di Francesco chiamata a rinnovare, a rinnovarsi. Su due argomenti: il sacerdozio femminile e l'uso dei preservativi. Come vi sarà facile notare, cari lettori, è tutta una questione di premesse, anche teologiche ed ecclesiologiche. Non è che le cose non possano (o non debbano) cambiare.
La reverenda anglicana Helen-Ann Hartley nella chiesa parrocchiale di Littlemore, vicino a Oxford |
Argomento numero 1: la contraccezione.
Ci ha fatto riflettere quando ha scritto in questi giorni, rispondendo ai commenti per un suo articolo (qui) e rifacendosi alla sua intensa attività di confessore, don Ariel S. Levi di Gualdo. «Anni fa mi trovai dinanzi a una coppia giovane che era riuscita con grande difficoltà e alto rischio ad avere un figlio e che desiderava, di figli, poterne avere due o tre. Dopo il parto, gli specialisti più qualificati dissero che una successiva eventuale gravidanza avrebbe messo a serio rischio non tanto la salute, ma proprio la vita stessa della madre, per salvare la quale ci sarebbe stata una sola possibilità: ricorrere all’aborto. Raccomandarono per ciò l’uso della pillola contraccettiva. Premesso che gli sposi, entrambi devoti cattolici, avevano all’epoca 30 e 32 anni, la risposta data da un mio confratello con una disinvoltura da vigile urbano che applica gli articoli del Codice della strada fu la seguente: “Dovete vivere da fratello e sorella”. Dopodiché aggiunse in tono solenne che quanto accaduto “è evidentemente volontà di Dio”. E con una freddezza che lasciò i due con il freddo polare addosso in piena estate e in un posto particolarmente caldo, li liquidò.
«Dinanzi a questo caso molto particolare, che può unirsi a vari altri casi altrettanto particolari, io non dirò certo che cosa ho risposto, perlomeno su questa pubblica piazza. Infatti non intendendo tra l’altro scatenare il furore dei noti cecchini, ossia di certi laici cattolici che sono celebri teologi internetici e giudici precisi e rigorosi … ma lo sono dietro le tastiere e, soprattutto, sempre e di rigore sulla pelle altrui … quindi mi limito a dire una cosa che apparentemente non c’entra niente: come avrete notato, riesco sempre di meno a sopportare i laici cattolici o presunti tali che non solo, si lanciano a fare i giudici impietosi sui social media, ma che si lanciano in argomenti e temi di eccezionale delicatezza per trattare i quali non hanno, non solo e non tanto la formazione e soprattutto la grazia di stato sacramentale, perché oltre alla carente preparazione non ne hanno proprio l’umanità, come mostrano i loro continui sproloqui sul grande sfogatoio e giudicatoio di internet...
«Con lucidità storica e in totale aderenza alla prova dei fatti non passibile di smentita, concludo dicendo che sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, si sono sviluppati i peggiori pensieri eterodossi che oggi stanno massacrando letteralmente la Chiesa. Si è permesso a movimenti laicali di scempiare la dottrina cattolica e la sacra liturgia e pur malgrado di aprire persino seminari per fabbricarsi preti a propria eterodossa misura. Nelle università ecclesiastiche si insegnano da quattro decenni dottrine palesemente ereticali e via dicendo a seguire, senza che dinanzi a tutto ciò s’intervenisse in modo energico e deciso sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II. Una volta, un mio confratello, insigne teologo dinanzi al quale, a livello di eterodossia, Hans Küng era solo un principiante, ma che pur malgrado rimase colpito – che è tutto dire! – delle statue del Budda messe sui tabernacoli in certe chiese di Assisi durante il carnevale delle religioni organizzato con la benedizione di Giovanni Paolo II dalla Comunità di Sant’Egidio, commentò con queste testuali parole: "Sotto questo pontificato, puoi dire ed esprimere più o meno tutto ciò che vuoi, a livello teologico; puoi fare ciò che vuoi della sacra liturgia e via dicendo, nessuno ti dirà niente. Per essere censurati, bisognerebbe arrivare ai livelli di Leonard Boff, il quale fu però censurato non per la sua ecclesiologia ritenuta eterodossa, ma perché il suo pensiero fu considerato marxisteggiante. E detto questo ricorda bene: se vai a toccare la contraccezione e i pensieri anche vagamente filo-marxisti, lì ci rimani fulminato all’istante. Perché due soli sono i punti intangibili di questo pontificato meritevoli di pronta censura: la contraccezione e i pensieri filo-marxisti".
«I fatti provano che in quella stagione, teologi che massacravano letteralmente il deposito della fede cattolica, a uno a uno li abbiamo visti diventare successivamente vescovi, mentre teologi di sana e solida ortodossia, per avere sollevato delle perplessità sulla rigida morale sessuale di Giovanni Paolo II, furono destituiti dalle cattedre. I primi, erano dei grandi furbi in carriera che avevano capito quale aria tirasse, i secondi, volevano solo porre quesiti e fare speculazioni in ambito teologico e morale senza mettere in discussione le discipline date dal Sommo Pontefice. E’ cosa nota, provata e riferita da numerosi nunzi apostolici nel corso degli anni che, quando si trattava di selezionare i candidati per l’episcopato, si doveva indagare con attenzione quale fosse il loro pensiero sulla morale sessuale. Poi, se la loro ortodossia teologica faceva acqua da tutte le parti, questo non interessava. Questo mio acuto confratello, morto da alcuni anni, era il meglio del peggio dell’ultra progressismo e della teologia catto-protestante più spinta, ma era un uomo molto intelligente e, del pontificato di Giovanni Paolo II aveva capito tutto. O come ho spiegato nel mio ultimo libro, il saggio La Setta Neocatecumenale nel quale senza mai essere stato sino a oggi smentito, meno che mai richiamato da alcuno, ho affermato e dimostrato che con un no al preservativo e un trionfo di famiglie numerose, Kiko Arguello e Carmen Hernandez, sotto l’augusto pontificato di Giovanni Paolo II, hanno potuto seminare le eresie che hanno voluto e hanno scempiata in tutti i modi la Santa Messa e la Santissima Eucaristia, ripescando e trasmettendo per cinque decenni i pensieri dei peggiori eretici della storia fatti passare per “ritorno alla vera Chiesa delle origini”. Però erano contro la contraccezione e a favore della famiglia numerosa, sino ad avere per questo un passaporto della Santa Sede con immunità diplomatica … Sia chiaro: quanto ho affermato, non sono mie opinioni, è storia. Solo e null’altro che storia provata e documentata. Fare il confessore o il direttore spirituale, non è certo la cosa più facile del mondo, con buona pace di certi cattolici d’assalto che si ergono a giudici sempre più disumani sui social media...».
Ci sono casi e casi, insomma; ci sono le eccezioni e c'è il senso di umanità, ci ricorda il sacerdote. Ma in proposito, ecco come invece un cambio di paradigma può davvero far vedere tutto in modo molto diverso, anche da un'ottica prettamente religiosa e cristiana. Si legge sull'interessante volumetto Desiderio e tenerezza. Una teologia della sessualità di Erich Fuchs: «Mentre il magistero cattolico romano continua a proibire qualsiasi ricorso a mezzi anticoncezionali artificiali in nome del rispetto della legge naturale, le chiese protestanti hanno reagito subito positivamente allo sviluppo della riflessione e dell’azione riguardante il controllo delle nascite, ai primi del XX secolo. E per ragioni teologiche estremamente significative: il fine del matrimonio non è anzitutto la procreazione, ma l’unità dei coniugi. Tutto ciò che può favorire quest’unità è approvabile. Ma l’astinenza sessuale auspicata dalla Chiesa Cattolica come metodo di regolamentazione non può rispondere a questa ricerca di unità perché, in un certo senso, squalifica la sessualità, riducendola alla sua funzione procreatrice. Se, in pieno accordo con la testimonianza biblica, si riconosce che la sessualità può essere il segno e il mezzo per l’unità dei coniugi, di cui il figlio potrà essere un segno successivo, è giusto non condannare gli sposi al timore di figli indesiderati ogni volta che vogliono unirsi nell’amore».
Secondo tema: donne prete.
Se don Ariel è stufo dei laici cattolici predicanti online, noi invece ne abbiamo francamente le palle piene dei preti spretati, ammogliati o con l'amante che, accampando il pretesto del calo o della crisi di vocazioni, insistono nel chiedere a gran voce l'apertura del clero cattolico ai sacerdoti sposati. In realtà l'unica vera apertura possibile e desiderabile è quella del sacerdozio femminile (certo, qualcuno dirà che tra i preti cattolici le donne già ci sono, ma questo è un altro discorso...). Donne non maritate, in modo da non intaccare quell'importante, fondamentale, prezioso contributo alla fede che, nel cattolicesimo, è ancora dato dalla promessa di celibato (in questo caso sarebbe, ovvio, nubilato).
Superare un certo, diffuso maschilismo cattolico che vede la donna sull'altare alla pari di un demonio non è del resto così tanto difficile. Sì, certo, il Maestro era un maschietto e pure i suoi Dodici. Ma lasciatevi un po' affascinare (e convincere), per esempio, da questa Bibbia delle donne pubblicata da poco anche in Italia e che non dimentica, appunto, il contesto culturale. Così la presenta Sara Tourn su Riforma (qui):
È uscita da pochi giorni la traduzione della nuova Bibbia delle donne curata da Élisabeth Parmentier e Lauriane Savoy, teologhe dell’Università di Ginevra, e Pierrette Daviau, teologa cattolica canadese, uscita due anni fa per Labor et Fides. La prefazione al'edizione italiana (Piemme) è della pastora e teologa valdese Letizia Tomassone, con la quale commentiamo il libro, che si inserisce in una lunga tradizione di “Bibbie delle donne”; a partire dall’opera della suffragista americana Elizabeth Cady Stanton, che nel 1895, con altre 26 donne, diede per la prima volta un punto di vista femminile al commento della Bibbia.
In questo lavoro si ritrovano 21 teologhe protestanti e cattoliche francofone: non un’analisi libro per libro, spiega Tomassone, come altre “Bibbie delle donne” quale quella in tre volumi pubblicata da Claudiana. Questo lavoro propone una riflessione sulla condizione delle donne nelle chiese nella storia, a partire da alcuni temi chiave, i volti femminili di Dio, corpo e pudore, il coraggio, sterilità e maternità, la subordinazione, l’archetipo della “femme fatale”…
C’è poi un’altra particolarità: il contesto in cui nasce l’opera, spiega Tomassone, «la prima di questa portata in ambito francofono; le autrici vanno dall’Europa all’Africa al Canada, ai territori oltremare francesi, e questo indica una consapevolezza nelle curatrici sulla necessità di rileggere i modi in cui i testi biblici hanno modellato delle immagini femminili, non solo nella cultura occidentale, ma imponendo dei modelli nelle culture coloniali», stravolgendo completamente quelli che erano loro propri e cancellando l’identità delle donne indigene. In questo senso si tratta di «un lavoro di riflessione sulla propria collocazione» e si lega strettamente al tema del post-colonialismo, osserva Tomassone, e a questioni aperte: le sperequazioni economiche e di potere, l’accesso all’istruzione e alle risorse…
Si dice Bibbia ma si finisce per parlare di attualità, di temi che con il movimento #metoo e le iniziative nel mondo cattolico a seguito della candidatura di Anne Soupa all’Arcidiocesi di Lione hanno riportato l’attenzione sulle dinamiche di potere, autorità e leadership, rispetto alla condizione delle donne. Emblematica in questo senso è la figura di Marta, oggetto di un saggio «sul tema dell’autorità femminile, del silenzio, sottolineando come la questione del servizio (diakonia) venga usata per dare autorità ai maschi dentro la chiesa e indurre le donne in una posizione subordinata. Questo mostra come gli stessi valori cambiano a seconda della collocazione di genere del soggetto».
Eppure nella Bibbia è spesso una donna che, rompendo gli schemi, dà una svolta inaspettata alla storia, «… non ha potere [conclude l’introduzione] ma può cambiare tutto, agendo nel momento esatto in cui Dio interseca la storia con la sua volontà di vita e di libertà: quel momento si chiama kairos ed è il tempo propizio della scelta femminile, della scelta di libertà». E qui sta il punto, ci spiega la teologa: «Con uno sguardo di fede possiamo dire che è Dio che rompe gli schemi, perché la sua presenza rompe le aspettative dei contesti, e molto spesso si serve dei soggetti più marginali, le donne, le straniere (Raab, Agar…), gli schiavi, i piccoli (lo stesso Davide è il più piccolo della sua famiglia). C’è continuamente questo ribaltamento in cui uno sguardo di fede riconosce che la storia non è determinata, ma Dio sconvolge le cose, e per farlo si serve dei soggetti divergenti, anche nella loro caratteristica di essere ai margini, di avere l’audacia di fare questi passi».
La Bibbia è ricca di testi dirompenti e rivoluzionari, ma anche di passaggi che preferiremmo depennare come “non più validi”. Proprio di fronte a questi, secondo le curatrici del libro e secondo Tomassone, sta la sfida delle teologhe ed esegete di oggi: «quella di non gettare via tutto il testo biblico, non cancellare quelle pagine, ma ridiscuterle, rinarrarle, a partire dall’affermazione di fede nel Dio di giustizia, che è anche una giustizia di genere, cercando di capire quale immagine di donne trasmettono quelle storie, a quale subordinazione o a quale liberazione, all’epoca, poteva essere utile quel racconto e oggi in che modo ci aiuta nelle stesse direzioni».
Lo stesso vale per i Padri della chiesa e «per alcune interpretazioni dei Riformatori, Lutero e Calvino, che anche se vivevano tempi abbastanza rivoluzionari, con donne che collaboravano, parlavano, profetizzavano, agivano nelle chiese, hanno di fatto accettato lo status quo della divisione dei ruoli e della collocazione di donne uomini e rispetto all’autorità nella chiesa. Riconoscere questo ci aiuta a vedere quanto tutto è relativo al tempo in cui si vive e a non assolutizzare le situazioni, ma a cercare di viverle come possibilità di trasformazione».