La filosofia di San Tommaso merita attento studio ed accettazione convinta da parte della gioventù dei nostri tempi, a motivo del suo spirito di apertura e di universalismo, caratteristiche che è difficile trovare in molte correnti del pensiero contemporaneo. Si tratta dell’apertura all’insieme della realtà in tutte le sue parti e dimensioni, senza riduzioni o particolarismi (senza assolutizzazioni di aspetti singoli), così come è richiesto dall’intelligenza in nome della verità obiettiva e integrale, concernente la realtà. Apertura, questa, che è anche una significativa nota distintiva della fede cristiana, della quale la cattolicità è contrassegno specifico. Questa apertura ha il suo fondamento e la sua sorgente nel fatto che la filosofia di San Tommaso è filosofia dell’essere, cioè dell’“actus essendi”, il cui valore trascendentale è la via più diretta per assurgere alla conoscenza dell’Essere sussistente e Atto puro, che è Dio. Per tale motivo, questa filosofia potrebbe essere addirittura chiamata filosofia della proclamazione dell’essere, il canto in onore dell’esistente.
Tommaso d'Aquino, 1225-1274 |
Da questa proclamazione dell’essere la filosofia di San Tommaso deriva la sua capacità di accogliere e di “affermare” tutto ciò che appare davanti all’intelletto umano (il dato di esperienza, nel senso più largo) come esistente determinato in tutta la ricchezza inesauribile del suo contenuto; essa deriva, in particolare, la capacità di accogliere e di “affermare” quell’“essere”, che è in grado di conoscere se stesso, di meravigliarsi in sé e soprattutto di decidere di sé, e di forgiare la propria irripetibile storia... A questo “essere”, alla sua dignità pensa San Tommaso quando parla dell’uomo come di qualcuno che è “perfectissimum in tota natura” (S. Tommaso, Summa theologiae, I, q. 29, a. 3), una “persona”, per la quale egli postula un’attenzione specifica ed eccezionale. E detto così l’essenziale circa la dignità dell’essere umano, anche se rimane ancora molto da indagare in questo campo, con l’aiuto delle riflessioni stesse offerte dalle correnti filosofiche contemporanee.
Da questa affermazione dell’essere la filosofia di San Tommaso attinge anche la sua autogiustificazione metodologica, come di disciplina irriducibile a qualsiasi altra scienza, ed anzi tale da trascenderle tutte ponendosi nei loro confronti come autonoma e insieme come di esse completiva in senso sostanziale.
Ancora, da questa affermazione dell’essere la filosofia di San Tommaso deriva la possibilità ed insieme l’esigenza di oltrepassare tutto ciò che ci è offerto direttamente dalla conoscenza in quanto esistente (il dato di esperienza) per raggiungere l’“ipsum Esse subsistens” ed insieme l’Amore creatore, nel quale trova la sua spiegazione ultima (e perciò necessaria) il fatto che “potius est esse quam non esse” e, in particolare, il fatto che esistiamo noi... “Ipsum enim esse – sentenzia l’Angelico – est communissimus effectus, primus et intimior omnibus aliis effectibus; et ideo soli Deo competit secundum virtutem propriam talis effectus” (S. Tommaso, Quaestiones disputatae De Potentia, q. 3, a. 7 c).
San Tommaso avviò la filosofia sulle tracce di tale intuizione, indicando contemporaneamente che solo su questa via l’intelletto si sente a proprio agio (come “a casa propria”) e che perciò a questa via l’intelletto non può assolutamente rinunciare, se non vuole rinunciare a se stesso.
Ponendo come oggetto proprio della metafisica la realtà “sub ratione entis”, San Tommaso indicò nell’analogia trascendentale dell’essere il criterio metodologico per formulare le proposizioni circa l’intera realtà, ivi compreso l’Assoluto. È difficile sopravvalutare l’importanza metodologica di questa scoperta per l’indagine filosofica, come, del resto, anche per la conoscenza umana in generale.
È superfluo sottolineare quanto debba a questa filosofia la stessa teologia, non essendo essa null’altro che “fides quaerens intellectum” o “intellectus fidei”. Neppure la teologia, quindi, potrà rinunciare alla filosofia di San Tommaso.
Si dovrà forse temere che l’adozione della filosofia di San Tommaso abbia a compromettere la giusta pluralità delle culture e il progresso del pensiero umano? Un simile timore sarebbe manifestamente vano, perché la “filosofia perenne”, in forza del principio metodologico menzionato, secondo cui tutta la ricchezza di contenuto della realtà ha la sua sorgente nell’“actus essendi”, ha, per così dire, in anticipo il diritto a tutto ciò che è vero in rapporto alla realtà. Reciprocamente, ogni comprensione della realtà – che effettivamente rispecchi questa realtà – ha pieno diritto di cittadinanza nella “filosofia dell’essere”, indipendentemente da chi ha il merito di aver consentito tale avanzamento nella comprensione ed indipendentemente dalla scuola filosofica alla quale egli appartiene. Le altre correnti filosofiche, pertanto, se le si guardi da questo punto di vista, possono, anzi debbono essere considerate come alleate naturali della filosofia di San Tommaso, e come partners degni di attenzione e di rispetto nel dialogo che si svolge al cospetto della realtà e in nome di una verità non monca su di essa. Ecco perché l’indicazione di San Tommaso ai discepoli nell’“Epistula de modo studendi”: “Ne respicias a quo sed quod dicitur”, deriva tanto intimamente dallo spirito della sua filosofia. [...].
Ma v’è un’altra ragione che assicura la perenne validità della filosofia di San Tommaso: è la preoccupazione dominante della ricerca della verità. “Studium philosophiae – scrive l’Aquinate commentando il suo filosofo preferito, Aristotele – non est ad hoc quod sciatur quid homines senserint, sed qualiter se habeat veritas” (S. Tommaso, De caelo et mundo, I, lect. 22, ed. R. Spiazzi, n. 228).
Ecco perché la filosofia di San Tommaso eccelle per il suo realismo, la sua obiettività: è la filosofia “de l’être et non du paraître”. La conquista della verità naturale, che ha la sua sorgente suprema in Dio Creatore, come la verità divina l’ha in Dio Rivelatore, ha reso la filosofia dell’Angelico sommamente idonea ad essere l’“ancilla fidei”, senza svilire se stessa e senza restringere i suoi campi d’indagine, ma, al contrario, acquistando sviluppi impensabili dalla sola ragione umana.
Perciò il Sommo Pontefice Pio XI, di s.m., pubblicando l’Enciclica Studiorum Ducem, in occasione del VI Centenario della Canonizzazione di San Tommaso, non esitò di affermare: “In Thoma honorando maius quiddam quam Thomae ipsius existimatio vertitur, id est Ecclesiae docentis auctoritas” (Pio XI, Studiorum Ducem: AAS 15 [1923] 324).
San Tommaso, in realtà, ha saputo illuminare con la sua “ratio fide illustrata” (Concilio Vaticano I, Dei Filius, cap. 4: Denz.-S. 3016), anche i problemi riguardanti il Verbo Incarnato, “Salvatore di tutti gli uomini” (S. Tommaso, Summa theologiae, III, Prol.). Sono i problemi a cui ho accennato nella mia prima Enciclica Redemptor Hominis, dove ho presentato Cristo come “Redentore dell’uomo e del mondo, centro del cosmo e della storia... via principale della Chiesa” per tornare “alla casa del Padre” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 1; 8; 13). È questo un argomento di primissimo ordine per la vita della Chiesa e per la scienza cristiana. Non è forse la Cristologia il fondamento e la prima condizione per l’elaborazione di una antropologia più completa, secondo le esigenze dei nostri tempi? Non dobbiamo, infatti, dimenticare che Cristo soltanto “svela pienamente l’uomo all’uomo” (cf. Gaudium et Spes, 22).
San Tommaso ha inondato altresì di luce razionale, purificata e sublimata dalla fede, i problemi concernenti l’uomo: la sua natura creata ad immagine e somiglianza di Dio, la sua personalità degna di rispetto fin dal primo istante del suo concepimento, il destino soprannaturale dell’uomo nella visione beata di Dio Uno e Trino. In questo punto dobbiamo a San Tommaso una definizione precisa e sempre valida di ciò in cui consiste la sostanziale grandezza dell’uomo: “Ipse est sibi providens” (cf. S. Tommaso, Contra Gentes, III, 81).
L’uomo è padrone di se stesso, può provvedere a se e progettare il proprio destino. Questo fatto, tuttavia, considerato in se stesso, non decide ancora della grandezza dell’uomo e non garantisce la pienezza della sua autorealizzazione personale. Decisivo è solamente il fatto che l’uomo si sottometta nel suo agire alla verità, che egli non determina ma scopre soltanto nella natura, datagli insieme con l’essere. Dio è colui che pone la realtà come creatore e la manifesta sempre meglio come rivelatore in Gesù Cristo e nella sua Chiesa. Il Concilio Vaticano II, qualificando questa autoprovvidenza dell’uomo “sub ratione veri” col nome di ministero regale (“munus regale”), attinge nella sua profondità questa intuizione.
È questa la dottrina che io mi sono proposto di richiamare e di aggiornare nell’Enciclica Redemptor Hominis, indicando nell’uomo “la prima e fondamentale via della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 14).
(Tratto da: Discorso di Giovanni Paolo II al Pontificio ateneo Angelicum, 1979)