"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Il centro interiore o l'opzione camomilla

Il pugno del tassista al cliente che chiedeva di attivare il tassametro è soltanto l'ultimo esempio. Viviamo in una società dove la violenza è in forte aumento. Ce ne accorgiamo quotidianamente. Basta fare un'osservazione civile all'immigrato vicino di casa, perché limiti ad esempio i rumori molesti o rispetti le regole di buon vicinato, e si viene presi a male parole e accusati di razzismo e intolleranza. Basta suonare il clacson per avvertire che si sta passando con l'automobile, ed ecco sfoderato il dito medio e le parolacce. Basta chiedere un favore e si viene guardati con sospetto, in cagnesco, come si fosse truffatori, e spesso mandati a fare in culo. Basta essere più lenti a compiere un'operazione ed ecco il complimento: «Vecchio rincoglionito, datti una mossa». Che sta succedendo? La frustrazione genera rancore, il rancore genera rabbia, la rabbia genera violenza - è stato detto.



E magari la spiegazione sta tutta qui, nelle ordinarie insoddisfazioni che colpiscono tutti noi, ogni giorno. Ma siccome la tendenza va crescendo (nel completo disinteresse e menefreghismo di chi queste cose dovrebbe coglierle, analizzarle, indirizzarle) e, proprio come il bullismo, peggiorando, sarebbe il caso di arginarla, di sanarla, di attuare un cambio di registro. Di darsi una bella calmata. Altrimenti bisognerà cominciare a spacciare (ai semafori, di fronte alle discoteche, davanti alle scuole, sui sagrati delle chiese) massicce dosi di camomilla. Proprio come fa il celebre personaggio western Cocco Bill, disegnato dal genio di Benito Jacovitti, che al bancone del saloon ordina camomilla al posto del solito whisky.

«L'aggressione biologicamente adattiva serve alla vita; in linea di principio, s'intende sotto l'aspetto biologico e neurofìsiologico, anche se abbiamo bisogno di molte altre informazioni in proposito. È una pulsione che l'uomo condivide con altri animali, sebbene vi siano certe differenze che sono state discusse in precedenza. La caratteristica dell'uomo è che può essere trascinato dall'impulso di uccidere e di torturare, provando voluttà; è l'unico animale che può uccidere e distruggere membri della propria specie senza alcun vantaggio razionale, né biologico né economico» scrive Erich Fromm (Anatomia della distruttività umana, 1973) cercando di «esplorare la natura di questa distruttività biologicamente non-adattiva, maligna. L'aggressione maligna, ricordiamolo bene, è specificamente umana e non deriva dall'istinto animale. Non contribuisce alla sopravvivenza fisiologica dell'uomo, ma è un elemento importante del suo funzionamento mentale. È una di quelle passioni potenti e dominanti in certi individui e culture, e non in altri». Il tentativo dello studioso (Francoforte 1900 - Locarno 1980) è quello «di dimostrare che la distruttività è una delle possibili risposte a esigenze psichiche radicate nell'esistenza umana, e che essa ha origine... dall'interazione di varie condizioni sociali con i bisogni esistenziali dell'uomo. Da questa ipotesi scaturisce la necessità di costruire una base teorica sulla quale tentare di esaminare i seguenti interrogativi: quali sono le condizioni specifiche dell'esistenza umana? Che cos'è la natura o l'essenza umana?».

Dunque, sottolinea Fromm, «per la maggior parte dei pensatori, a cominciare dai filosofi greci, era autoevidente l'esistenza di qualcosa chiamato natura umana, qualcosa che costituisce l'essenza dell'uomo. Nessuno dubitava, insomma, che esiste qualche cosa in virtù della quale l'uomo è uomo, anche se varie erano le opinioni sugli elementi che la determinano. Perciò l'uomo fu definito essere razionale, animale sociale, animale in grado di fabbricare utensili (Homo faber), o animale che crea simboli. Più recentemente si è cominciato a contestare questa opinione tradizionale. L'accentuazione crescente dell'approccio storico all'uomo è stata una delle componenti di tale cambiamento. L'esame della storia dell'umanità ha dato origine all'ipotesi che l'uomo della nostra epoca è talmente diverso da quello degli stadi precedenti, che è sembrato non-realistico presumere che gli uomini di tutte le ere avessero in comune qualcosa che possa essere definito come "natura umana". Particolarmente negli Stati Uniti, l'approccio storico è stato corroborato dalle ricerche effettuate nel settore dell'antropologia culturale. Studiando i popoli primitivi, si è scoperta una tale varietà di usanze, valori, sentimenti e pensieri, che molti antropologi arrivarono a formulare questo concetto: quando l'uomo nasce, è come una pagina bianca sulla quale ciascuna cultura scrive il suo testo. Un altro fattore che ha contribuito alla tendenza di negare il presupposto di una natura umana fissa è stato l'abuso di questo concetto, usato spesso come paravento dietro al quale si commettono gli atti più inumani. Proprio in nome della natura umana, per fare un esempio, Aristotele e la maggior parte dei pensatori fino al diciottesimo secolo hanno difeso la schiavitù. Oppure, per dimostrare la razionalità e la necessità della forma di società capitalistica, gli studiosi hanno cercato di far credere che la tendenza ad accumulare, la competitività, l'egoismo siano tratti umani innati. A livello popolare, si parla cinicamente della "natura umana" per accettare l'inevitabilità di comportamenti umani indesiderabili come l'avidità, l'omicidio, l'inganno, la menzogna. Probabilmente un altro motivo dello scetticismo sul concetto di natura umana risiede nell'influenza del pensiero evoluzionistico. Una volta che si arrivò a inquadrare l'uomo nel processo dell'evoluzione, sembrò insostenibile l'idea di una sostanza contenuta nella sua essenza. Eppure io credo che sia precisamente da un punto di vista evolutivo che ci possono pervenire nuovi suggerimenti sul problema della natura umana. In questa direzione hanno dato nuovi contributi autori come Karl Marx, R. M. Bucke, Teilhard de Chardin, T. Dobzhansky».

Insomma, «il presupposto dell'esistenza di una natura umana è sostenuto prevalentemente dalla possibilità di definire l'essenza dell'Homo sapiens in termini morfologici, anatomici, fisiologici e neurologici. In realtà, per dare una definizione esatta e generalmente accettata della specie uomo, ci riferiamo alla posizione del suo corpo, alla formazione del cervello, ai denti, alla dieta e a molti altri fattori coi quali la differenziamo chiaramente dai primati non-umani più sviluppati. Ne dobbiamo per forza concludere, a meno che non vogliamo regredire e considerare mente e corpo come due regni separati, che si debba poter definire la specie umana sia mentalmente sia fisicamente. Lo stesso Darwin si rendeva perfettamente conto che l'uomo in quanto tale non era caratterizzato soltanto da tratti fisici specifici, ma da specifici attributi psichici, di cui cita i più importanti ne L'origine dell'uomo».

La conclusione del ragionamento è questa: «Gli individui vivono in una società che fornisce loro schemi preconfezionati, che pretendono di dare un senso alle loro vite. Nella nostra società, per esempio, si racconta che, per dare un senso alla vita, bisogna guadagnare parecchio, essere uomini di successo, "padri di famiglia", buoni cittadini, consumatori di merci e di piaceri. Ma se, a livello conscio, questo suggerimento funziona per la maggioranza, la gente non ritrova però un significato autentico, né compensazione alla mancanza di un centro interiore. Questi schemi si stanno logorando e falliscono con una frequenza crescente. Che questo fenomeno oggi avvenga ormai su larga scala, è dimostrato dall'uso crescente della droga, dalla mancanza di un interesse genuino per qualcosa, dal declino della creatività intellettuale e artistica, dal dilagare di violenza e distruttività». Urgono soluzioni per quel «centro di gravità permanente» reso celebre da Franco Battiato.