"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

L'inutile Ordine nel presente disordine

Onorevoli Senatori. – Il disegno di legge pone all’attenzione del Senato la soppressione dell’ordine dei giornalisti, come disciplinato dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69, e quella parte della legislazione statale che nel corso dei decenni si è stratificata in materia di comunicazione e di informazione.

Tale intento soppressivo deriva sostanzialmente dai profondi ed irreversibili mutamenti che i processi telematici e di internet hanno determinato sul versante della liberalizzazione dei sistemi di comunicazione.

La rivoluzione informatica, già nei fatti, ha determinato uno spostamento radicale dalla «materialità» della carta stampata al mondo del web, determinando di conseguenza anche concettualmente una coincidenza tra il concetto di libertà di stampa con quello di libertà di opinione.

Se questo è il processo in atto, in fase già avanzata, allora la difesa dell’ordine dei giornalisti, risulta essere ormai strumento obsoleto da superare.



Per quanto riguarda l’ordine dei giornalisti, la legge istitutiva che qui si intende abrogare, a parere del presentatore, ma anche di una vasta parte di opinione pubblica, ha garantito e tutelato, fin dal suo nascere, più che la libertà di stampa, la stampa, intesa come corporazione giornalistica.

Già nel 1945, dalle colonne di «Risorgimento liberale», Luigi Einaudi aveva levato la sua voce contro l’istituzione di un ordine dei giornalisti: «L’albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha, e non deve avere, alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe un risuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei nonconformisti». Una previsione, quella del primo Presidente della Repubblica, che trova drammatico riscontro nella realtà odierna.

Il dettato costituzionale e lo stesso articolo 21 della Costituzione (libertà di pensiero e di stampa) consentono a tutti i cittadini l’esercizio della libertà di stampa; la legge n. 69 del 1963 ha stabilito al contrario, che «nessuno può assumere il titolo, né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’albo professionale».

Con la soppressione dell’ordine dei giornalisti, che qui si illustra, viene a cadere un’anomalia italiana all’interno dell’Unione europea e si restituisce piena dignità professionale a chi svolge la professione di giornalista. Ogni singolo professionista risponde della sua capacità di esercitare la professione nei termini di legge: avremmo professionisti che non vedrebbero minato il loro diritto alla libertà di opinione od espressione semplicemente, perché un ordine impone, come etica collettiva, quella che invece dovrebbe essere un’etica individuale.

Resta ovviamente salvo il diritto per ogni categoria di organizzarsi come ritiene più opportuno, ad esempio con associazioni di categoria o associazioni parasindacali, ma non tramite ordini, ai quali è obbligatorio iscriversi.

Nel resto d’Europa la professione è governata da logiche prevalentemente associativo-sindacali, anche se non mancano iniziative di regolazione professionale con il concorso di autorità pubbliche.

In Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Regno Unito il giornalismo non è considerata una professione. In Belgio, Francia, Norvegia e Portogallo è attività professionalizzata, ma l’abilitazione è affidata alle organizzazioni sindacali, in alcuni casi attraverso commissioni miste in cui sono presenti gli editori (Belgio e Francia) o solo i giornalisti (Norvegia, Portogallo). In Austria, il titolo abilitante è rilasciato da una commissione mista editori-giornalisti con il visto del Ministero degli interni.

Rispetto all’Italia, nel resto d’Europa dunque il giornalismo non è considerato una libera professione alla stregua dell’avvocatura, della medicina, dell’ingegneria. In particolare, in Francia, l’attività giornalistica è regolamentata da norme di legge, con il rilascio di un documento di identificazione da parte di una commissione statale. Non esiste un ordine professionale; per esercitare il lavoro di giornalista non viene richiesto un titolo di studio specifico, mentre è necessario aver svolto un periodo di praticantato di almeno due anni.

L’articolo L7111-3 del codice del lavoro francese dà la definizione legale del giornalista. Giornalista è colui che ha per professione principale, abituale e retribuita, l’esercizio della sua professione in una o più pubblicazioni, quotidiane e periodiche o in una o più agenzie di stampa e da cui ricava la sua entrata principale. In conclusione l’esercizio della professione giornalistica in Francia è libero.

In Germania non è presente alcuna forma di regolazione della professione da parte dello Stato, né forme di protezione del titolo professionale di giornalista. Chiunque può titolarsi giornalista e può svolgere attività giornalistica professionalmente. Non è richiesto dalla legge alcun titolo di studio né generale né specifico. 

Anche nel Regno Unito e in Irlanda la professione giornalistica non è sottoposta ad un controllo normativo di natura pubblica, mentre esistono associazioni private di categoria. Queste associazioni hanno una identità organizzativa complessiva a metà strada tra il sindacato e il club. Di fatto, non è previsto un vincolo di adesione ad un’organizzazione specifica per l’esercizio della professione giornalistica, anche se le varie strutture associative mettono in atto specifiche iniziative di promozione e di tirocinio per i propri iscritti.

In sostanza si vede chiaramente che nel resto d’Europa l’attività giornalistica è concepita secondo logiche di mercato, associativo-sindacali e organizzative proprie delle aziende editoriali, in cui viene svolto il lavoro vero e proprio. Da una parte gli editori, dall’altra i giornalisti (tutelati da uno o più sindacati). Lo Stato interviene in rari casi, partecipando alle commissioni che abilitano i giornalisti alla professione. In altri casi, come in Gran Bretagna o in Germania, lo Stato non c’entra affatto.

Conclusivamente, alle considerazioni già esposte in premessa si aggiunge quella ulteriore per la quale non si vede come possa sussistere un ordine in aperto contrasto con gli indirizzi prevalenti in Europa, circa la modalità della professione giornalistica.

La scarsa fiducia nella categoria dei giornalisti appartenenti all’ordine, recepito come un organismo che tutela i loro interessi corporativi, è poi un elemento che dovrebbe spingere verso il modello più avanzato europeo ed aprire l’esercizio della professione a tutti coloro che la esercitano di fatto.

Il lungo dibattito sulla riforma dell’ordine, dibattito che non è arrivato a nulla, dimostra probabilmente l’impossibilità di riformarlo, mentre il coraggio di proporne l’abolizione, unitamente al depotenziamento di posizioni di rendita e di potere di pochi, comporterebbe di sicuro una maggiore responsabilizzazione di coloro che scrivono

(Legislatura 16ª - Disegno di legge N. 2496 - Senato)