"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Negli Anni Venti "quota 90"

Vedremo, nel nuovo decennio che ci attende, una replica dei "Ruggenti Venti", come sono noti gli Anni Venti del Novecento? Se lo chiede un'analisi dell'agenzia Reuters, ricordando quegli "anni di prosperità, innovazione tecnologica e sviluppi sociali come il diritto di voto alle donne". Domanda intelligente, prospettiva interessante. Certo, non è tutto oro quel che luccica. "C'è inquietudine, oltre che euforia" spiega sempre la Reuters."L'attuale ciclo economico è già il più lungo della storia americana e una recessione sembra inevitabile nel nuovo decennio - che segnerà pure i cent'anni dal crollo di Wall Street del 1929".

Insomma, i prossimi Anni Venti saranno, come sempre accade, al tempo stesso un'opportunità e un rischio. Abbiamo già visto aziende basate su internet trasformare il mondo in cui lavoriamo, compriamo, ci rilassiamo. Per questo gli investitori guardano con attenzione all'ulteriore rivoluzione tecnologica dei prossimi dieci anni.
Forse ci sarà però bisogno, come sottlinea la Reuters citando previsioni di Deutsche Bank, che banche centrali e governi forniscano ai cittadini ingenti somme di denaro, come quando vengono gettati aiuti dagli elicotteri alle popolazioni in difficoltà (per questo si arriva a parlare di helicopter cash o helicopter money). Una strategia, questa, che è stata respinta da politici non ortodossi negli anni del 2010. Un'altra opzione radicale in discussione è la moderna teoria monetaria, dove i governi creano e spendono tutta la moneta necessaria, tanto quanto l'inflazione resta bassa.

Per quanto riguarda i mercati, un decennio di tassi d'interesse ai livelli più bassi non ha favorito la crescita nelle nazioni più sviluppate, però ha gonfiato i mercati, come dimostrano i prezzi di azioni, obbligazioni e immobili. La disuguaglianza generata da questo fatto ha provocato un ampio fenomeno anti-globalizzazione. Il risultato è una de-globalizzazione o, come dicono a Morgan Stanley, una "lenta-balizzazione". Il settore bancario si aspetta grandi risultati dagli investimenti tecnologici, in particolare dalle piccole aziende del web cinesi, dal momento che quelle grandi vengono danneggiate dal protezionismo. I rendimenti saranno però meno entusiasmanti che in passato.

Se le questioni del riscaldamento globale porteranno a investire di più e cercare alternative agli inquinanti, un'altra sfida sarà rappresentata dall'invecchiamento della popolazione mondiale. Secondo Deutsche Bank, Irlanda, Ruanda, Ghana e Botswana saranno tra le 22 nazioni in prima fila per il "dividendo demografico", beneficiando di un aumento della popolazione in età lavorativa. Un settore come il commercio online sarà in forte crescita, dal momento che le persone della Generazione Z (coloro che avranno tra i 20 e i 30 anni entro il 2030) potranno esercitare un crescente potere di spesa. Ma anche gli anziani, in alcune nazioni, conteranno negli acquisti. Entro il 2030, gli ultra-ottantenni saranno il 5,4% della popolazione americana, dal 3,7% del 2005, trainando la domanda per case di riposo, assistenza sanitaria e innovazioni per la qualità della vita.

Gli Anni Venti che ci attendono potrebbero diventare un'era di smart cities, connessioni facili, robotica in aiuto all'essere umano, progressi nella tecnologica missilistica, satellitare, spaziale. UBS vi vede "un parallelismo con il momento nel quale l'internet globale... ha aperto grandi possibilità all'inizio del secolo".

Questo il futuro. Ora diamo un'occhiata al passato. Com'era la situazione economico-demografica italiana negli Anni Venti del Novecento? Forse non così "ruggente" come ci si potrebbe aspettare.

Il decennio si apriva con la breve ma intensa crisi del 1921, legata alla caduta internazionale della domanda e della produzione e aggravata dagli squilibri nei rapporti economici tra Stati e dalle difficoltà legate alla riconversione dall'economia di guerra a un'economia di pace. In quell'anno, la disoccupazione cresce di oltre sei volte rispetto all'anno precedente. La ripresa si manifesta già nei primi anni del 1922, e alla fine dell'anno la disoccupazione risulta riassorbita per un terzo.

Tra il 1922 e il 1926 si ha un periodo di rapida espansione economica, soprattutto nel settore industriale. La produzione manifatturiera cresce del 10% l'anno. Il nuovo ministro delle finanze Alberto De Stefani avvia una politica di disimpegno dello Stato dall'economia, pur non rifiutando di intervenire per salvare banche e industrie in difficoltà. Vengono così definitivamente smantellati i controlli e i vincoli statali inaugurati durante la guerra, sono privatizzate le aziende pubbliche in attivo, viene ridotta l'incidenza delle imposte dirette.

L'obiettivo di De Stefani è riportare in pareggio il bilancio dello Stato: per far questo egli punta su una drastica restrizione della spesa pubblica, che in soli quattro anni scende dal 35% a 13% del reddito nazionale. La riduzione del disavanzo pubblico, comportando una minore richiesta di finanziamenti da parte dello Stato, fa sì che il denaro dei risparmiatori si orienti verso gli impieghi industriali. Contemporaneamente si assiste alla svalutazione della lira rispetto alle maggiori monete. Ciò consente una crescita della competitività delle merci italiane sui mercati internazionali.

La domanda risulta trainata soprattutto dalle esportazioni e dagli investimenti industriali, giacché i consumi privati ristagnano. La crescita annua di questi ultimi è infatti di poco superiore al 2%. I salari crescono meno della produttività, nonostante la riserva di manodopera si riduca. Il numero dei disoccupati ufficiali scende infatti dalle 600.000 unità del 1921 alle 100.000 del 1926. La stabilità dei salari, pur in presenza di una forte crescita economica, è soprattutto effetto del nuovo clima politico e del monopolio fascista sui sindacati.

Alla metà degli anni Venti, questo modello di sviluppo mostra evidenti difficoltà. La lira si indebolisce ulteriormente rispetto alle altre monete europee, ma questa volta la svalutazione non si traduce tanto in un aumento delle esportazioni, quanto in un incremento dei prezzi delle materie prime da importare. Contemporaneamente si manifesta una generale tendenza nei paesi europei alla stabilizzazione dei cambi, avviata ne 1925 con il ritorno della Gran Bretagna a una parità fissa della sterlina con l’oro. Si presenta pertanto come quasi obbligata per l'Italia la scelta di una politica deflazionistica, attuata tra il 1926 e il 1927 con drastiche riduzioni del credito, che mira a tenere alta la parità della lira con le altre monete forti. In meno di un anno la lira è così rivalutata di oltre un terzo: è la battaglia per la "quota 90": 90 lire per una sterlina. La restrizione del credito comporta nell'immediato una, sia pur breve, recessione.

Negli anni 1928-1929, fino allo scoppio della "grande crisi" (ottobre 1929), si ha una nuova ripresa, legata al generale sviluppo dell'economia internazionale, anche se permangono difficoltà per le esportazioni.