"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Quelli che straparlano

E che ci riprovino, adesso. Che vengano ancora a raccontare - dopo l'indiscutibile trionfo elettorale di BoJo e la disfatta degli avversari politici - che gli inglesi hanno cambiato idea, che si sono pentiti, che sono stufi e insomma che non vogliono più la Brexit. Ammesso che l'abbiano mai voluta, dal momento che anche l'altra volta, quando hanno votato il referendum, avevano capito male, si erano lasciati abbindolare, non avevano valutato - parole loro - le gravi e apocalittiche conseguenze che ne sarebbero derivate. E quell'altra volta pure, quando in gran numero avevano appoggiato le teorie del bizzarro Nigel Farage, anche allora avevano preso un abbaglio. Non avevano capito la bontà e l'importanza dell'Ue. Non avevano applaudito alle limitazioni, alle regole assurde, al tirare la cinghia imposto da un governo che non si sa neppure dove abbia precisamente sede (Bruxelles? Strasburgo?) e che dimostra una voracità burocratica pazzesca. Non avevano saputo apprezzare l'invasione di tutti questi cittadini comunitari o finti comunitari (immigrati che prendono una qualsiasi cittadinanza, diciamo magari italiana, per poi potersi spostare liberamente entro i confini europei)
che arrivano a Londra, soprattutto a Londra, a fregare lavoro e prospettive dei locali, a usufruire di benefici (case, sussidi, aiuti) a scapito di chi quei benefici li paga salati (con le tasse) e spesso non li ottiene. Ma ci riproveranno, ne siamo certi. Perché questi sono giornalisti, commentatori, esperti, editorialisti dalle schiene ben piegate, servi del pensiero unico imposto dall'alto, schiavi delle lobby, a libro paga delle euroburocrazie farraginose e fallimentari. Se ne fregano di quel che pensa il popolo, di quel che manifesta sulla scheda, attraverso libere elezioni.
"Regno Unito: vittoria storica di Boris Johnson" titola Boulevard Voltaire. Sottolinea: «Da giovedì, le cose sono tornate a essere ordinate su entrambi i lati del Canale. Gli inglesi sono ridiventati loro stessi, portati da un sentimento di orgoglio nazionale combinato con una fedeltà inalterabile alla democrazia. Per anni, dal referendum che aveva permesso al popolo britannico di scegliere la partenza del paese dall'Unione Europea (Brexit), il Regno Unito aveva dato lo spettacolo sia ridicolo che inquietante di una democrazia incapace di mettere in atto la scelta degli elettori e di un vecchio e prestigioso parlamento colto da una frenesia di incoerenze. Boris Johnson, Primo Ministro conservatore, ha ottenuto lo scioglimento della Camera dei Comuni e condotto una dinamica campagna elettorale che si sono trasformate in un nuovo referendum sulla Brexit.

«Né David Cameron, che ha lanciato il referendum credendo che avrebbe respinto la Brexit, né Theresa May, che lo ha sostituito, erano sostenitori della Brexit. I circoli economici ai quali il partito è vicino non lo volevano più. Boris Johnson, al contrario, ha compreso che l'orgoglio nazionale che aveva animato i conservatori, con Churchill o la signora Thatcher, avrebbe ristabilito l'unità del partito. È riuscito anche a dissipare i timori per le conseguenze economiche e sociali della Brexit mostrando i vantaggi del mare aperto, della sovranità e dell'indipendenza che avrebbero restituito al paese la capacità di liberare la propria energia e i propri talenti.

«Al di là di questa strategia vittoriosa di fronte agli arcaici e rozzi laburisti, che hanno aggiunto la vaghezza sulla Brexit e il ritorno allo stato sociale degli anni '40, Boris Johnson ha incarnato il populismo nella sua versione britannica: un personaggio pittoresco, fuori dagli schemi, politicamente a destra, ha scelto di identificarsi con il voto popolare, in particolare quello dei distretti laburisti nel nord del paese, ed è riuscito a ribaltarne un certo numero.

«Un altro politico britannico ha mostrato intelligenza e responsabilità: Nigel Farage, il talentuoso e determinato avvocato della Brexit, fondatore di un partito interamente dedicato a questo obiettivo, ha voluto essere non il concorrente ma, al contrario, l'ausiliare della vittoria di Boris Johnson. Il suo partito aveva indebolito i conservatori durante le elezioni europee e li aveva quindi convinti che fosse necessario ripristinare una linea chiara. Farage non ha presentato un candidato laddove un conservatore era a rischio, ma li ha moltiplicati laddove potevano impedire che un laburista venisse eletto. Il risultato è la conseguenza di questo atteggiamento disinteressato: nessun rappresentante eletto per Farage, ma una grande maggioranza per Boris Johnson, che sarà quindi in grado di attuare la sua politica, e in particolare la Brexit, il 31 gennaio 2020. Il Regno Unito e il suo Parlamento hanno riacquistato la loro dignità e riaperto la via del futuro».

Questi sono i fatti. Il resto è motivabile, come spiega Pecchioli, con l'osservazione che il bravo cittadino globale «accetta la narrazione del potere, disprezzando come fake news o crassa ignoranza le spiegazioni divergenti».

Ecco, «il popolo vuole essere imbrogliato, lo sapevano già i Romani duemila anni fa. Di più: non c’è nulla che attiri maggiormente il rancore e l’odio che dire la verità a chi non la vuol ascoltare. L’allergia alla verità si diffonde e si fa contagiosa. Disprezzo, poi sarcasmo, subito dopo autentico odio. Nulla di strano, in fondo. Gli autonominati buoni sono anch’essi solo uomini, piaccia o non piaccia alla loro vanità. Gli homines sapientes hanno in apparenza messo a tacere l’istinto di predatori; hanno bisogno, per odiare, di convincersi che l’oggetto del loro fiammeggiante rancore di Giusti è un malvagio. Lo spiega perfettamente uno dei loro maestri, Theodor Adorno nella Dialettica Negativa: l’animale razionale che vuole aggredire l’avversario ha bisogno di un motivo “etico”. Il nemico da divorare deve essere cattivo.

«Uno dei pochi vantaggi di essere reazionario, dunque destinato al disprezzo universale, è quello di decidere di fare a meno della discussione con gran parte dei propri simili per manifesta inutilità. Una conseguenza collaterale di tale conclusione è assumere un atteggiamento di sano allontanamento dalla controversia insensata. Ci si rende conto che, fatta eccezione per la sfera domestica e quella degli amici stretti, non ha senso esprimere la propria opinione su qualsiasi argomento, dal momento che ci sono così tanti punti di vista su qualsiasi evento, così tante variabili individuali e, soprattutto, una così grande ignoranza (a partire dalla nostra!) delle innumerevoli sfumature e sfaccettature, che è molto meglio tenere la bocca chiusa. Benedetto Socrate che sapeva di non sapere e finì come sappiamo.

«Inutile è ricordare alla maggioranza – democratica, progressista, in diritto di avere un’opinione su tutto e di modificarla velocemente in base all’umore, alla digestione e soprattutto ai dettami dell’informazione mainstream- che quando si padroneggia davvero un argomento se ne scoprono infinite variabili e si assume la prudenza, tratto distintivo della conoscenza. Il bipede iperconnesso, tra le altre patologie, è affetto da una preoccupante tuttologia: opina su qualsiasi argomento, è in grado di fornire soluzioni a richiesta e, soprattutto, desidera ardentemente farle conoscere al resto dell’umanità. Le reti sociali sono il suo terreno preferito; una volta bastava il bar o il mercato rionale, ma l’omino virtuale ama la globalizzazione, specialmente quella delle sciocchezze. Sui social, i forum spazzatura, ogni bravo cittadino globale ostenta opinioni omnibus senza che nessuno gliele abbia richieste, insieme a desideri, rancori e soluzioni ai massimi problemi del pianeta espressi con la stessa disinvoltura con cui enumera gli ingredienti del risotto e dà il voto all’albergo dove ha trascorso il fine settimana.

«In questo modo, uno sciocco di cui ignoriamo le circostanze personali - meteorismo cronico, infanzia infelice, storia familiare, delusione o soddisfazione sentimentale- - può strologare sull’universo mondo, emettere folli giudizi di valore, odiare o apprezzare qualunque persona o causa remota di cui ignora tutto. Si propaga la volgarità, l’uso di insulti, una bulimia di pareri tanto più grande quanto più acuta è l’ignoranza sui temi su cui si rilasciano deiezioni verbali, ingiurie infondate, il tutto in un linguaggio elementare, SMS più messaggio whattsapp meno saggezza ed umiltà. Non vale la pena entrare nel dibattito, meno ancora pensare di avviarlo su binari razionali. Cadremmo nella loro trappola se ci sentissimo scandalizzati o oltraggiati per le boutade, la stupidità, la povertà degli argomenti e gli insulti ricevuti. Essere nel mirino della plebe digitale è una medaglia al valore, non partecipare alle più disparate e ridicole community, a forum e gruppi un punto d’onore. A Renzo Tramaglino che si lamentava per l’appellativo di “baggiani” dato dai bergamaschi ai milanesi, il cugino, da tempo residente oltre l’Adda, replicò: detto da loro, è come dare dell’eccellentissimo a un monsignore.

«L’opinione corrente non va in genere oltre luoghi comuni o battute. Quale interesse può avere il giudizio di un personaggio popolare per qualche squallida comparsata televisiva sui cambiamenti climatici, sull’ aborto o sulla situazione curda? E che dire delle interviste di strada nelle trasmissioni televisive, in cui si chiede dell’ultima sentenza controversa della Cassazione a un anziano che viene dall’acquisto di un Gratta e Vinci, o a una ragazzina strappata all’amato telefonino? E delle lettere al direttore nei giornali locali, un genere a sé, affascinante festival del luogo comune del buon cittadino cosciente dei suoi diritti, assennato scuotitore di testa di fronte all’incomprensibile.

«Il processo di allontanamento dalla “gente” non è un segno di crescita della pulsione reazionaria, ma fastidio non più nascosto dalla maschera dell’ipocrisia e della convenienza sociale. Quello che ci capita è uno svuotamento verbale per accumulo di dati ed esperienze, per cui non intendiamo più pronunciarci sulle questioni di cui sappiamo poco o nulla. Non perché ci dispiaccia ricevere risposte sgradite, ma perché nella maggior parte dei casi non abbiamo un’opinione fondata. Non conosciamo i fatti, ci sentiamo autorizzati a parlare esclusivamente di ciò di cui abbiamo contezza. E’ un esercizio faticoso perché impone autocritica e prolungati silenzi. Aveva ragione Oscar Wilde: è meglio tacere e apparire stupidi che aprire bocca e togliere ogni dubbio.

«L’homo sapiens et consumens postmoderno, al contrario, parla e straparla perché ha la lingua in bocca e gli hanno fatto credere che la sua opinione conta, è autorevole, pegno di democrazia, libertà e progresso. Da tuttologo globale, spazia dalla geopolitica alla gastronomia, dalla finanza alle mezze stagioni, dalla religione alla moda intima. Soprattutto, vuole assolutamente farlo sapere e desidera un pubblico plaudente, la community, gli amici di Facebook, quelli che faranno clic sull’immagine del pollice alzato. Mi piace, gli piace, se lo aspetta. Non bisogna contraddirlo, altrimenti il leone da tastiera, da bar e da fermata del bus ruggirà, anzi sputerà oltre ad inappellabili sentenze, insulti e odio, il vomito digitale di una sub umanità che il potere manovra a piacimento. Tira i fili e i burattini urlano sul clima. Muove dall’altro lato e corrono al centro commerciale, un cenno e diventano sardine dopo essere stati gli indignati, il popolo viola ed altre amenità di stagione.

«Il lato buffo della tuttologia di massa è la sua felice convivenza con legioni di esperti pronti a risolvere ogni problema dall’alto di una sapienza settoriale sempre più limitata a un pezzettino di un’unica materia: specialisti di un atomo di conoscenza».

Per fortuna poi ci sono le elezioni, che riportano tutti alla realtà.