«Mentre il tribunale cercava, molti nel pubblico, come accade, avevan già trovato» scrive il Manzoni nei Promessi sposi a proposito della peste e del relativo fanatismo giustizialista, dei bassi istinti, delle brame forcaiole che provocò. Annota, qualche riga sopra: «Ho creduto che non fosse fuor di proposito il riferire e il mettere insieme questi particolari, in parte poco noti, in parte affatto ignorati, d'un celebre delirio; perché, negli errori e massime negli errori di molti, ciò che è più interessante e più utile a osservarsi, mi pare che sia appunto la strada che hanno fatta, l'apparenze, i modi in cui hanno potuto entrar nelle menti, e dominarle». Commento interessante che capita bene, dovendo riflettere sulla riforma della prescrizione nel processo penale, spinta da un furore manettaro e da indici puntati verso "untori" che si vogliono popolarmente colpevoli - dalla massa, dai media, da alcuni schieramenti politici - e che invece bisogna ricordare presunti innocenti, in punta di garanzia e di diritto, fino a prova contraria. E non si pensi che sono problemi lontani, tecnicismi, roba da addetti ai lavori e ai livori, materiale per circoli chiusi. Tante, troppe volte i mostri dei titoloni e delle grida si sono rivelati capri espiatori, agnellini avviati ingiustamente al macello, per poter credere ancora, per potersi fidare e affidare all'istinto, all'emozione, alla pancia con regole istintuali, emozionali, fragili.
«L'entrata in vigore della riforma – o, come da più parti osservato, la soppressione di fatto – della prescrizione è ormai vicina. Dal 1° gennaio, troverà applicazione la nuova disciplina dello "Spazzacorrotti", che dispone la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado» osserva Davide De Lungo, professore di Diritto pubblico. «Questa modifica della prescrizione - almeno decontestualizzata da una più ampia riforma organica - non persuade affatto. È chiaro che, se il problema è assicurare i colpevoli alla giustizia nonostante le lungaggini del processo (o delle indagini), la soluzione migliore non è autorizzarne la durata infinita, così avallando inerzie e dilazioni anche patologiche; ma renderlo più rapido, ponendo termini stringenti, presidiati da "sanzioni" processuali (quali preclusioni, decadenze, fino all’estinzione) e disciplinari per tutti i soggetti coinvolti. In questa prospettiva, la scure della prescrizione è un fondamentale elemento acceleratorio, e il suo venir meno, più che una cura, suona come il certificato della malattia cronica della giustizia italiana. Porre il processo al di fuori del flusso del tempo, poi, danneggia tutti: la vittima, e tutta la collettività, che hanno interesse ad un pronto accertamento della responsabilità e alla punizione del reato; l'innocente, già danneggiato dal sol fatto di essere sottoposto al procedimento, e per il quale ogni giorno in più alla gogna è un supplizio intollerabile; lo stesso colpevole, che ha diritto di veder definita in breve la sua vicenda, scontando la sanzione per poi reinserirsi in società.
La battaglia per la prescrizione merita senz’altro di essere combattuta, non solo di per sé, ma anche in una logica di più generale contrasto ad una preoccupante parabola di irrazionalismo e disinvoltura nell'impiego delle norme penali. Lo Stato di diritto non può mai smarrire la sua stella polare, che è la garanzia della libertà del cittadino contro l'aggressione dell'autorità. In questa logica, il diritto penale, che rappresenta la massima forma di minaccia del potere alla sfera delle libertà individuali, non può non essere "liberale"; non può non essere circoscritto nelle forme della stretta ragionevolezza e proporzionalità; non può non incarnare la ragione delle leggi che prevale sulla passione degli uomini. Allo stesso modo, il processo deve restare il luogo dell'accertamento dei fatti e delle responsabilità individuali, non divenire il mezzo, o il palcoscenico, attraverso cui lo Stato regola i conflitti sociali, governa i flussi di consenso o veicola disegni di moralizzazione pubblica.
L'auspicio è che la riforma della prescrizione sia modificata in profondità, o accompagnata da misure di sistema che riescano a ricondurne l'impatto entro soglie accettabili».
Anche il Centro Studi Livatino parla di danno: «Desta notevole perplessità la modifica della prescrizione che, inserita all'interno della legge n. 3 del 9/01/2019, c.d. "spazza-corrotti", è destinata - se non interviene alcuna novità - a entrare in vigore il 1° gennaio 2020. Essa prevede, fra l'altro, la sospensione del termine di prescrizione "dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna".
Lo spostamento di un anno della piena operatività di questa disposizione rispetto al momento dell'approvazione della legge fu spiegato dalla prospettiva di varare nelle more una riforma del processo penale che garantisse tempi più rapidi di definizione: poiché tale riforma non è stata esaminata compiutamente neanche da un ramo del Parlamento, non si comprende perché oggi si intenda mantenere in piedi solo la rettifica della prescrizione. Per quanto sostenuto dagli stessi proponenti, essa aveva senso quale primo passo di una più completa architettura innovatrice.
Non è soltanto di una questione di sistema, pur se l'esperienza insegna quanto sia controproducente introdurre singole novità senza farle precedere da riforme di quadro. Quella della prescrizione è una questione complessa, che chiama in causa da un lato il potere punitivo dello Stato e la necessità di non disperdere atti di indagini e/o processuali formati spesso con difficoltà e con dispendio di risorse pubbliche, dall'altro la necessità che il singolo accusato veda definita la propria posizione processuale, senza compressioni di diritti che la dilatazione dei tempi di conclusione del giudizio rendono irreparabili.
Esula dal carattere rapido di una nota come questa l'indispensabile approfondimento che la materia esige. Ci si limita pertanto a considerazioni sintetiche:
sulla base di dati obiettivi e non contestati, il 70% dei procedimenti penali che si definiscono in Italia con la prescrizione sono ancora nella fase delle indagini preliminari. Poiché la legge n. 3/2019 non incide in tale fase, essa si mostra inutile in più dei 2/3 dei casi di prescrizione e rischia di non far cogliere il dato allarmante costituito dalla discrezionalità di fatto dell'azione penale, che conduce una parte significativa delle Procure della Repubblica a scegliere quali reati perseguire e quali no. Invece di promuovere una discussione sulla sostenibilità della obbligatorietà dell'azione penale e sulla individuazione di criteri oggettivi e omogenei per l'avvio delle indagini, il mantenimento della norma della "spazza-corrotti" si concentra solo su quel che accade dopo la pronuncia di primo grado, che è fenomeno diverso e quantitativamente meno rilevante;
nel restante 30% dei casi, i termini di prescrizione maturano con maggiore frequenza fra la decisione di primo grado e quella di appello, mentre è percentualmente irrilevante - poco più dell'1% - l'incidenza della prescrizione in Cassazione. Ciò non accade per caso: chiama in causa l'ineludibile riorganizzazione delle Corti di appello, al fine di seguire moduli simili a quelli della Cassazione, per es. nella definizione in camera di consiglio delle impugnazioni evidentemente inammissibili. Mentre in sede di legittimità è da tempo istituita una sezione dedicata esclusivamente alla veloce definizione dei ricorsi inammissibili, misure analoghe mancano in quasi tutti gli uffici di appello, nonostante siano tanti gli appelli generici o aspecifici. Peraltro una declaratoria di inammissibilità in grado di appello fa retrodatare gli effetti della prescrizione alla pronuncia di primo grado, ottenendo il risultato cui tenderebbe la legge n. 3/2019, ma senza forzature. Su questo fronte la legge appena citata rischia invece di cristallizzare situazioni di concreta inefficienza;
un'ampia riforma della prescrizione è già entrata in vigore nel 2017, su impulso dell'allora ministro della Giustizia Orlando, con nuove e ulteriori ipotesi di sospensione e interruzione e con sensibili incrementi dei termini, e attende una valutazione in termini di ricaduta, che non può che giungere fra qualche anno. Non giova alla chiarezza applicativa la continua modifica di istituti di diritto sostanziale, con calcoli di termini differenti sulla base del principio della norma più favorevole;
com'è noto, in Italia la prescrizione ordinaria per la fascia di delitti meno gravi è di sei anni, con incrementi significativi quando sono contestate aggravanti a effetto speciale o la recidiva qualificata, e salvo l'aumento a fronte di atti interruttivi del decorso del termine. Nè vale la comparazione con altri ordinamenti perché il confronto va operato per termini omogenei, e in Europa esistono discipline processual-penalistiche fortemente diversificate, per es. quanto alla obbligatorietà dell'azione penale, o quanto a termini di prescrizione molto più contenuti di quelli italiani. Se valessero i confronti andrebbe ricordato che, a differenza di quanto accade in altre Nazioni, in Italia in caso di assoluzione lo Stato non rifonde le spese processuali supportate dall'incolpato;
qualsiasi richiesta difensiva che punti al mero scorrere del tempo ai fini della maturazione della prescrizione incontra già oggi gli opportuni rimedi della sospensione del decorso del relativo termine;
risponde a esigenze di giustizia che l'ordinamento delimiti il tempo entro il quale il potere dello Stato si dispieghi nei confronti dell'accusato, parametrando alla gravità dei reati la misura temporale adeguata per giungere alla sanzione. Senza questo correttivo, l'accusato in attesa del giudizio vive in uno stato di precarietà perpetua, grave in sé in quanto lo rende indefinitamente "disponibile" al potere dello Stato. Ancora più grave se - come accade in virtù della legge n. 3/2019 - la sentenza di primo grado sia di assoluzione, e quindi che la presunzione di non colpevolezza sia ancora più accentuata: la pendenza giudiziaria a tempo illimitato preclude la partecipazione a un concorso pubblico, rende di fatto impossibile ricevere incarichi di lavoro, ostacola l'adozione di un bambino. In questi casi, se e quando il processo con termini di prescrizioni dilatati avrà una definizione, quelle possibilità saranno escluse per sempre, per via dell'età nel frattempo raggiunta dall'interessato.
Il Centro studi Rosario Livatino auspica un serio ripensamento rispetto alla operatività della norma contestata, affiancato da una riflessione d'insieme e concreta sul sistema processuale penale, che coniughi in modo più equilibrato la potestà punitiva dello Stato e i diritti dell'incolpato».
A proposito di giustizia e di strane riforme, e per contribuire alla riflessione pubblica, non sembri stravaganza o gesto estemporaneo citare qui quanto scrive Solzenicyn in Arcipelago Gulag: «Quell'anno di funesta memoria, in un suo rapporto divenuto celebre in ambienti riservati, Andrej Januar'evic (verrebbe voglia di sbagliare e chiamarlo Giaguar'evic) Vysinskij, in uno spirito di flessibilissima dialettica (che oggi non permettiamo più né ai sudditi dello Stato né alle macchine elettroniche per le quali un sì è sì, e un no, no) ricordò che l'umanità non potrà mai stabilire una verità assoluta, questa può solo essere relativa. Partendo da lì egli fece il passo al quale i giuristi-metafisici non si erano decisi nei duemila anni precedenti: una verità stabilita da un'istruttoria e un tribunale non può essere assoluta, ma solo relativa. Onde, firmando un ordine di fucilazione, non potremo comunque mai essere assolutamente certi di mettere a morte un colpevole, lo saremo solo con un certo grado di approssimazione, date, certe supposizioni, in un certo senso. Onde la deduzione più ovvia: le ricerche di prove (giacché tutte le prove sono relative) sono un'inutile perdita di tempo, come pure quelle di testimonianze, anche indubbie (giacché possono essere contraddittorie). Le prove di colpevolezza sono relative, approssimate, il giudice istruttore le può trovare anche senza testimoni, senza uscire da suo ufficio, "basandosi non solo sulla propria intelligenza ma anche sull'intuito di partito, sulle forze morali" (ossia sui vantaggi di un uomo riposato, sazio e non sottoposto a botte) "e sul suo carattere" (ossia la propria brama di crudeltà)». Conosciamo com'è andata la storia.