Per uno di quei vichiani corsi e ricorsi storici, cinquant'anni fa la Svizzera si trovò a decidere su un progetto di pesante limitazione dell'immigrazione che prese il nome di "Iniziativa Schwarzenbach". L'idea fu respinta. Sensatezza civica elvetica oppure occasione sprecata? E chi fu veramente il suo promotore, James Schwarzenbach? Un mostro, un abile animale politico che sfruttò una contingenza storica, un ideologo capace di stimolare la "pancia" dell'elettorato e infiammare una polveriera sociale o una persona colta interessata al bene del suo Paese? Un giudizio storico sereno, distaccato, equilibrato, pare ancora impossibile, nonostante la distanza temporale dall'avvenimento, a causa dei pregiudizi delle rispettive tifoserie, delle distorsioni politiche che sempre circondano e condizionano il dibattito, della facilità idiota con la quale si continua a gridare da un lato "populista!" e dall'altro "immigrazionista!".
James Schwarzenbach |
Dunque: il 7 giugno del 1970 - riassume Rino Scarcelli per Swissinfo - gli svizzeri furono chiamati a votare su un'iniziativa popolare che chiedeva di limitare gli stranieri al 10% della popolazione. L'iniziativa - comunemente chiamata Schwarzenbach, dal nome del promotore - la spuntò soltanto in sette cantoni e fu respinta col 54% di no. Ma quella campagna contro il cosiddetto inforestierimento (Überfremdung) non fu priva di conseguenze.
James Schwarzenbach (1911-1994) era figlio di un industriale tessile. Cresciuto in una famiglia alto borghese di Zurigo e istruito da un precettore, aveva conseguito la maturità in collegio in Engadina e il dottorato in storia a Friburgo. Titolare di una casa editrice di orientamento cattolico, dottrina cui si era convertito durante gli studi, fu eletto al Consiglio nazionale (camera bassa) nel 1967, col movimento Azione nazionale contro l'inforestierimento del popolo e della patria. Fece conoscere se stesso e il partito (conservatore e isolazionista, chiamato oggi Democratici svizzeri) grazie alle sue doti di oratore e ai drastici obiettivi della sua iniziativa.
James Schwarzenbach (1911-1994) era figlio di un industriale tessile. Cresciuto in una famiglia alto borghese di Zurigo e istruito da un precettore, aveva conseguito la maturità in collegio in Engadina e il dottorato in storia a Friburgo. Titolare di una casa editrice di orientamento cattolico, dottrina cui si era convertito durante gli studi, fu eletto al Consiglio nazionale (camera bassa) nel 1967, col movimento Azione nazionale contro l'inforestierimento del popolo e della patria. Fece conoscere se stesso e il partito (conservatore e isolazionista, chiamato oggi Democratici svizzeri) grazie alle sue doti di oratore e ai drastici obiettivi della sua iniziativa.
Alle urne, l'iniziativa fu bocciata. Ma come si spiegano le 70'292 firme raccolte in pochi mesi e lo scarto di meno di 100'000 voti tra contrari e favorevoli, per un'iniziativa che - in sostanza - avrebbe comportato l'allontanamento di 300'000 persone?
Forse non si trattò di xenofobia verso i lavoratori ospiti (Gastarbeiter, com'erano chiamati) bensì di "timore esistenziale" causato dalla sovrappopolazione. Magari neppure di un'avanzata dell'estrema destra, piuttosto di un "estremo centro" poujadista che si proponeva come difensore della classe media e dei piccoli imprenditori.
Nel solo canton Ticino, l'applicazione dell'iniziativa avrebbe comportato la partenza di quasi 30'000 lavoratori. Nei distretti con meno frontalieri, ciò poteva significare perdere fino a metà della forza lavoro.
Formalmente, il Consiglio federale non oppose un controprogetto all'iniziativa. Ma le misure introdotte nel marzo 1970 per contenere il numero di stranieri, benché il governo dichiarasse che la stabilizzazione fosse un suo obiettivo fin dal 1964, furono lette proprio come un modo per persuadere il popolo a non approvare l'iniziativa Schwarzenbach.
Sul Neue Zürcher Zeitung, Felix E. Müller osserva opportunamente questo: chi attribuisce a Schwarzenbach una sorta di primogenitura sul "populismo europeo di destra", sui "movimenti nazionalisti" o "xenofobi", prende un abbaglio clamoroso, una cantonata pazzesca.
"La tesi è sbagliata. Schwarzenbach era forse un'eccezione per la Svizzera, ma certamente non nell'ambiente europeo. Piuttosto, faceva parte di un ampio flusso di pensiero conservatore di destra, cattolico di destra e talvolta estremista di destra che si trovava da tempo nella maggior parte dei paesi europei".
Insomma, "la sua storia recente è iniziata in Francia e Germania negli anni tra le due guerre in risposta alla nascita di partiti socialisti e comunisti. In Francia, il regime amico dei nazisti del maresciallo Philippe Pétain si dimostrò il punto focale di queste tendenze, motivo per cui caddero in rovina dopo la fine della guerra. Ma già nel 1953 Pierre Poujade lanciò un movimento di protesta populista". E poi non si può sorvolare sul fatto che, in epoca Schwarzenbach, già circolassero (o cominciassero a circolare) le idee di un Jean-Marie Le Pen, di un Alain de Benoist.
In Germania, "pensatori e scrittori come Carl Schmitt, Ernst Jünger o Ernst von Salomon negli anni tra le due guerre furono i portavoce di una controrivoluzione conservatrice, che la Repubblica di Weimar respinse e rappresentò una visione di stato antidemocratica, antiliberale e nazionalista. Dopo la guerra, questa linea di pensiero fu completamente screditata a causa della sua vicinanza ai nazionalsocialisti".
La conclusione è che, in un terreno socio-culturale che può apparire simile e di fronte ad esigenze che si ripetono e rinnovano, i moderni politici ostinatamente definiti "populisti" germogliano su un campo piuttosto antico e non forzatamente autoritario o dittatoriale, fioriscono dalla storia. Probabilmente è sbagliato paragonarli a deviazioni impazzite o a personaggi scomodi e magari interpretati male. Forse è scorretto etichettarli populisti. Bisognerebbe avere il coraggio di definirli in base a quello che concretamente sono tra la gente: popolari.