La morte corporale, che ha incontrato questa notte Ennio Morricone, nulla potrà contro l'immortalità spirituale della sua musica. Il grande, leggendario Maestro, autore di brani indimenticabili, aveva 91 anni. È entrato nel Grande Silenzio, ma le sue note continueranno a tenerci compagnia. Dall'archivio di Avvenire (14 novembre 2009) riprendiamo questa sua intensa, significativa intervista ad Antonio Giuliano.
«Io mi alzo alle 4 del mattino per camminare e fare ginnastica, leggo i giornali e mi metto subito a scrivere musica. Non posso perdere tempo…».
A 81 anni Ennio Morricone riesce a trovare melodioso anche il suono della sveglia all’alba. Quando hai scritto oltre 400 colonne sonore e venduto più di 50 milioni di dischi potresti almeno aspettare le luci del giorno prima di tuffarti sul pentagramma. E invece proprio non ce la fa a resistere al piacere di cimentarsi con le note.
«In questo periodo ho una serie di concerti – spiega – ma spero proprio di esserci alla Giornata degli artisti con Benedetto XVI: sono stato molto contento di essere stato invitato. Anche l’incontro con Giovanni Paolo II, durante il Giubileo degli artisti, fu molto emozionante».
C’è anche un’ispirazione religiosa dietro le sue composizioni?
«Sono credente. Però l’ispirazione religiosa nasce da fatti concreti. Quando trovo un testo che mi piace e sento che possa venir fuori qualcosa mi butto senza esitazioni. L’anno scorso ho composto una cantata, Vuoto d’anima piena su passi poetici di san Giovanni della Croce, santa Teresa d’Avila e altri mistici musulmani e indiani. Adesso ne ho scritto un’altra, Gerusalemme, che riprende alcuni passi della Bibbia, del Vangelo e del Corano in cui le fonti delle tre religioni monoteiste parlano di pace. Sarebbe bello musicare anche la Divina Commedia, ma ci vuole tempo… Sono aperto ai testi dei generi più diversi, ma mai testi blasfemi».
Che importanza ha per lei la musica sacra?
«La storia della musica è partita dalle esperienze liturgiche, l’opera è partita dalla Messa come sacra rappresentazione. Pensiamo a grandi compositori, come i maestri di cappella o Girolamo Frescobaldi. Tutto è venuto dalla musica sacra e dal canto gregoriano. Ma la Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, sta perdendo la grande tradizione del gregoriano. Sta succedendo quello che si verificava prima del Concilio di Trento, quando si mischiavano elementi profani alle melodie sacre. E Benedetto XVI fa bene a richiamare una certa attenzione. Oggi nelle chiese assistiamo a un guazzabuglio per cui con le chitarre si suonano pezzi western su testi come l’Ave Maria…».
Lei ha firmato colonne sonore memorabili. Ce n’è una a cui si sente particolarmente legato?
«Sono affezionato a tutte le mie composizioni, non ricordo nemmeno quante ne ho scritte. Sono legato soprattutto a quelle che mi hanno fatto soffrire. O quelle di film belli che sono andati malissimo, come Un tranquillo posto di campagna o Un uomo a metà… Ma certo la colonna sonora di Mission è un lavoro miracoloso, mi è uscito dalla penna quasi senza volerlo. In quel film sui missionari gesuiti del XVIII secolo in Sudamerica sono riuscito a fondere tre temi tra loro diversi, come la musica strumentale del Rinascimento, le melodie del periodo della Riforma del Concilio di Trento e le musiche dei nativi americani. Ho lavorato duro ma alla fine è venuto fuori un miracolo tecnico, quasi non dipendente da me».
Qual è per lei l’originalità di un’arte come la musica?
«La musica è un’arte astratta che vive della combinazione di suoni che non si sentono nella vita comune. La musica si scrive sulla carta e rimane lì muta: c’è bisogno dell’esecutore, degli strumenti, del pubblico. Alla pittura non occorrono questi passaggi: bastano tre secondi per vedere un quadro ed esserne fulminato… E così altre arti. La musica ha bisogno del tempo: non possiamo ascoltare un’opera che dura un’ora solo per 5 minuti. Così un film. Per questo cinema e musica si sposano bene per l’importanza che danno alla temporalità. Io ascolto volentieri la musica classica, in particolare La Sinfonia di Salmi di Stravinskij, ma anche il rock e i generi moderni, purché fatti bene. Mi mandano due o tre dischi al giorno, quando riesco ad ascoltarli e a mio giudizio meritano, faccio loro anche una telefonata per congratularmi».
Qual è il segreto della sua prolificità?
«Mi diverto senz’altro, altrimenti sarebbe una noia terribile. Ci vuole grande passione. L’ispirazione viene lavorando duramente. Come dice un detto francese, l’ispirazione conta l’1%, ma al 99% conta la traspirazione, il sudore, la fatica. Ho avuto tante soddisfazioni, tanti premi, dall’Oscar al Leone d’Oro di Venezia. Ma non mi fermo. Ora sto lavorando al Diario di Anna Frank per un film Tv di Alberto Negrin che all’estero uscirà anche nei cinema. Sono un grande appassionato degli scacchi, ma la vita non è una partita a scacchi. Perché un bravo giocatore può fare una grande partita e perderla ugualmente. E io non ci tengo a perdere la vita... Ho 81 anni ma ne dimostro molti di meno. Anche il mio medico si meraviglia. Mi tengo in forma fisicamente e vado avanti. La vita è un lavoro continuo».