"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Foglie di fico

Preferite andare al lavoro su una carrozza trainata da cavalli o su una Ford Model T? Né uno né l'altro? Come, avete già visto un elicottero e non vi stupite che gli attori parlino nel film? Era questa la situazione esattamente cent'anni fa, nel 1920. Oggi, naturalmente, siamo ancora più avanti per molti aspetti. Dunque permettetemi un'ultima, forse stupida domanda: perché sopportate un ​​giornalismo da Anni Venti?

Una Ford Model T del 1920

Non è da ieri soltanto che dibattiamo di politicamente corretto e di politiche identitarie, questioni di libertà. Al centro c'è la privatizzazione dello spazio di dibattito da parte di alcuni a servizio di un'autoproclamata Morale superiore - ovverosia "la parte giusta". La catena di esempi è lunga e non ha fine: il manuale sulle inquadrature dell'emittente del servizio pubblico tedesco ARD, il Disastro-Relotius allo Spiegel, adesso le dimissioni dell'editorialista del New York Times Bari Weiss, che aveva anche la finalità di richiamare strati di lettori non liberal di sinistra, ma è stata vittima di bullismo e alla fine ha gettato la spugna esasperata.

Boia e traditore

Partigianeria e unilateralità: è questa l'accusa principale contro il giornalismo odierno di alcuni media mainstream. Ed è esattamente quello che Walter Lippmann, il giornalista più letto del XX secolo, vincitore del Premio Pulitzer e creatore di presidenti, scrisse sul libro di famiglia del giornalismo cent'anni fa nel volumetto Liberty and the News del 1920, che oggi si legge in modo così terribilmente attuale, tanto che ci si chiede frustrati come sia possibile che in sostanza sia cambiato così poco. La prima legge del giornalismo è per lui lapidaria: «Speak the truth and shame the devil». Oggi che ci si mette nel tè degli studenti di giornalismo?

Ci sono giornalisti che ritengono ancora di essere intellettualmente avanti chilometri rispetto ai loro lettori e che questi stanno solo aspettando di venire istruiti da loro. Con che diritto? Il giornalista dello Spiegel Philipp Oehmke ha perfino invocato la fine della neutralità nel giornalismo. Ma il Campionato della Virtù è come il gioco delle sedie. Più va avanti, più eliminati restano senza posto. Le regole del gioco potrebbero essere prese in prestito per analogia direttamente dal manuale della polizia segreta stalinista Ceka; chiunque può potenzialmente essere boia e traditore. Risultato: più si procede brutali, meno si è sospettati. Questo è il distruttivo sistema di incentivi di qualsiasi ideologia mentale. Alla fine, però, un tale sistema si cannibalizza da solo. Stiamo probabilmente sperimentando l'apice di questo processo, come mostra una lettera aperta di 150 intellettuali, tra gli altri JK Rowling, Malcolm Gladwell o Noam Chomsky.

Problema sistemico

Contro il cattivo giornalismo, soltanto quello buono aiuta, se non si vuole lasciare il campo ai demagoghi, alle ugole strillanti e ai pifferai magici. Ecco perché è adesso necessario un nuovo impegno specifico del settore al minimo standard. Poiché «giornalista» non è un termine protetto, la base comune può essere soltanto: una metodologia basata sui fatti e riconosciuta. Il giornalismo partigiano è una forma di corruzione, una truffa al lettore, un cattivo servizio alla propria professione e un peccato contro la verità.

E come dimostra il caso dell'editorialista del NYT Weiss, è un problema sistemico. La diversità e la divergenza di opinione sono un numero da pr, una foglia di fico. Se alla fine sono i mediocri, i fichi e i corretti a dare la tonalità, allora i giornali non servono più.

(Milosz Matuschek, Der brutale Kannibalismus der Gutmenschen – hysterische Political Correctness kann jeden treffen, NZZ. Nostra traduzione)