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Bontà dello spirito secondo Basheer

C'era una volta in India, prima che i filosofi indiani divenissero rinunciatari istituzionalizzati, tutto un fiorire di filosofia. Ma dopo il I secolo dell'era volgare, stranamente, il Subcontinente non ha prodotto più un singolo filosofo originale. Le tante scuole filosofiche che qui si sono sviluppate tra il II e l'XI secolo dell'era volgare, sebbene abili e competenti, sono state soltanto interpretazioni/reinterpretazioni di pensieri originati precedentemente.

E tuttavia, l'India del XX secolo ha generato due eccezionali filosofi originali. Uno è stato Gandhi, il filosofo della ahimsa/satya che ha scoperto un nuovo stile di vita che trova praticanti anche nel XXI secolo. L'altro è stato Vaikom Muhammad Basheer, il noto scrittore malayalam, il cui anniversario della morte è caduto domenica scorsa.

Vaikom M. Basheer (21 gennaio 1908 - 5 luglio 1994)

Basheer non è così celebre come il Mahatma Gandhi - non gli si può attribuire il merito di aver ideato un nuovo stile di vita che potrebbe essere chiamato lo "Stile di vita basheeriano". Questo è accaduto, penso, soprattutto per il suo legame con l'islam: in quanto musulmano impegnato, non avrebbe potuto mai concepire uno stile di vita distinto dall'islam.

Basheer non ha mai preso le distanze dall'islam. Ma, come Gandhi, ha cercato di fare del suo meglio per trasformare la sua religione natale in una religione etica, attraverso i suoi scritti e il suo modo di vivere. La sua capacità di influenza, tuttavia, era limitata alla sua cerchia di amici e alle persone che leggevano i suoi scritti. Basheer, come il suo eroe Gandhi, non era una persona "religiosa" nel senso convenzionale. Basheer aveva preso l'ingiunzione coranica "Fate che non ci sia costrizione nella religione: la Verità ben si distingue dall'Errore; chiunque rifiuta il male e crede in Allah si aggrappa all'impugnatura più salda che mai si spezza. E Allah è audiente, sapiente" [sura II,256] letteralmente, e così aveva presunto una certa libertà.

Per Basheer, erano i primi tre pilastri dell'islam quelli più significativi. Il riconoscimento del primo pilastro, "Non c'è altro dio fuorché Dio, e Muhammad è il Messaggero di Dio", è palese in tutti i suoi scritti autobiografici. Il secondo pilastro delle cinque preghiere obbligatorie riceve nei suoi scritti un'interpretazione nuova. Secondo lui, è una forma di preghiera aiutare tutte le forme di vita create da Allah, e praticava questa al posto del tradizionale namaz (l'orazione rivolti alla Mecca cinque volte al giorno). Il terzo pilastro è quello della zakat (l'elemosina). Per Basheer, anche questo faceva parte del suo concetto di bontà e quindi seguiva questa tradizione senza indugio. Non considerava gli ultimi due, "digiuno" e "pellegrinaggio alla Mecca", come necessariamente importanti.

L'ironia è il tropo più apparente negli scritti di Basheer. Basheer scrisse Ana al-Haqq a metà degli anni '40. È un bellissimo, biografico poema in prosa sul famoso mistico sufi Hussein Ibn Mansur al-Hallaj, che visse a Baghdad verso l'inizio del X secolo. Mansur al-Hallaj fu perseguitato e ucciso a causa del suo pronunciamento eretico, "Ana al-Haqq" ("Io sono la Verità").

Ana al-Haqq è stato ripubblicato nel 1984 con una breve nota che recitava: "Questa storia è stata scritta circa 40 anni fa. Adesso io credo che sia un peccato che esseri umani ordinari che sono semplicemente i prodotti dell'Onnipotente dicano cose come 'Io sono Dio'. Avevo anche affermato che il lavoro si basa su una storia vera, ma ora prendetela soltanto come una fantasia. Ana al-Haqq". Molti di coloro che in questa hanno visto un ritorno di Basheer all'islam ortodosso, non hanno ovviamente colto la sua ironia nel ripetere il titolo della sua storia - "Ana al-Haqq" - alla fine della nota.

Dal momento che Basheer è stato profondamente spirituale e un filosofo della bontà, è necessario parlare di un "thinma (male)" del quale è stato affetto. A un certo punto della sua vita di 82 anni, Basheer è stato colpito da quello che ha descritto come "thinma" [vocabolo della lingua malayalam che significa anche vizio, veleno, cattiveria]. Il suo "thinma" era l'abitudine auto-indotta di consumare alcolici. Gli alcolisti funzionali sono tanti ma, nel caso di Basheer, l'alcol ha causato danni immensi tanto che per due volte ha dovuto essere curato per gli squilibri provocati dal consumo eccessivo di alcol. Ma nel 1970, mi è stato detto, è diventato astemio. Penso che a salvarlo da questo "thinma" siano state la sua spiritualità e la sua innata bontà. È stato, penso, un esempio iconico del dictum socratico, "a una persona virtuosa non può capitare nulla di male". Lo stesso Socrate beveva alcol, ma non lo ha danneggiato (psicologicamente) o corrotto moralmente. Questo vale anche per Basheer. Tutti coloro che lo conoscevano lo trattavano con il massimo rispetto. Il suo biografo, il ricercatore-professore MK Sanoo, lo ha definito "il recluso della solitudine" mentre prendeva consapevolezza del "thinma" che lo aveva afferrato a un certo punto della sua vita. Sukumar Azhikode, l'intellettuale pubblico malayali che fu pure un gandhiano e un attivista anti-alcol, ha sempre messo a confronto Basheer con i veggenti upanishadici dell'India e i mistici sufi.

È soltanto molto recentemente che i filosofi di carriera sono giunti a riconoscere Gandhi come un filosofo. Nessuno ha finora proclamato Basheer come un filosofo; ma lo fu, in effetti, un filosofo della bontà. Una volta definì "bontà" come l'atto di "dare un po' d'acqua a una pianta afflosciata o dare cibo a un essere affamato". Sono questi semplici atti di bontà che ha praticato e propagato attraverso i suoi scritti. Perché dovremmo praticare la bontà? La maggior parte dei suoi scritti sono tentativi di rispondere a questa domanda. Che promuove la "spiritualità" in chi fa.

Cos'è, allora, la "spiritualità"? Basheer, sfortunatamente, non ha fornito una definizione semplice come ha fatto nel caso della "bontà", ma possiamo ricavarla dai suoi scritti e pure dal modo in cui ha vissuto.

Cosa significa praticare la bontà? La sua novella del 1947, Voices, si distingue per la sua sorprendente novità. Ci sono due voci soltanto. Le voci di uno sconosciuto senza nome e le voci occasionali intervallate di una personalità letteraria, di nuovo senza nome, che smonta le "confessioni" dello sconosciuto. La maggior parte dei lettori di Voices sembra aver sentito soltanto le voci dello sconosciuto e molti, anche se ne hanno apprezzato l'arte, hanno trovato le voci autobiografiche dello sconosciuto troppo sfacciatamente sessuali per la loro sensibilità morale. In effetti, lo "sconosciuto" è un caso paradigmatico di "pre-occupazione di se stesso". Basheer, infatti, presentava, mediante le voci dello "sconosciuto", la crisi esistenziale che una tale preoccupazione crea. Non c'è redenzione se ci si preoccupa di se stessi. Tutto quanto è indesiderabile emerge da tale preoccupazione. Questa è la lezione che riceviamo se prestiamo attenzione alla seconda serie di voci.

Voices è la storia di uno sconosciuto, che sembra più un mendicante squinternato e fa irruzione a tarda notte nella casa di uno scrittore molto noto, e lo supplica di ascoltare la storia che vuole raccontare. Lo scrittore riceve lo sconosciuto con gentilezza esemplare e promette di ascoltare quello che lo sconosciuto vuole dirgli, la mattina seguente. Questa è la prima manifestazione di bontà. Quindi lo scrittore offre allo straniero di fare il bagno e di cambiarsi i vestiti. Condivide il suo cibo con lo sconosciuto. Lo sconosciuto dopo un sonno profondo narra il mattino dopo la storia straziante della sua vita. La novella termina con lo sconosciuto che racconta il suo fallito tentativo di suicidio. Proprio prima di quel climax, lo scrittore chiede: "Hai mai fatto qualcosa tutto da solo e ricavato felicità da questo? Coltivare qualcosina... piantare almeno una piantina e vederla fiorire e dare frutto. Dare acqua a un cane assetato o cibo a una persona affamata? Almeno qualcosina così?

(Lo sconosciuto risponde): "No. Ho ucciso delle persone. E ho provato a suicidarmi".

Quello che Voices manifesta è l'aspetto "spirituale" degli scritti di Basheer. Nella maggior parte dei suoi scritti c'è un tema implicito, la necessità di guidare un essere disturbato a uno stato pacifico, che quell'essere sia una forma di vita umana o non umana. Definisco questo la spiritualità di Basheer. Questa, in effetti, è una forma di bontà. Lo scrittore in Voices è la personificazione di tale spiritualità. La tesi di Basheer è che quando si tratta della vita umana, senza disimpegnarsi dall'egoismo, non si può raggiungere una condizione stabile di serenità. L'unico modo nella quale la si può raggiungere è praticare la bontà continuamente per tutta la vita. Ecco qui un mondo di innumerevoli forme vitali che Allah ha creato affinché gli umani pratichino il bene e sperimentino la pace perpetua. Ma sfortunatamente, secondo Basheer, gli esseri umani convertono invece il mondo intero in un'enorme "società di coltelli".

Vorrei concludere con un episodio che mi è stato raccontato da MN Karassery, giovane scrittore che fu amico di Basheer. Negli ultimi 15-20 anni della sua vita, Basheer era solito camminare scalzo. Una volta, quando un amico gli domandò perché non indossasse calzature, la sua risposta fu: "Non uso calzature. Mi mette a disagio se calpesto questa terra con le calzature". La risposta fornisce un indizio sul filosofo che Basheer è stato. Non gli esseri umani soltanto, ma tutto quanto credeva creature di Allah, Basheer trattava con la stessa riverenza. Tutte le creature sono Bhoomiyude Avakashikal, cioè tutti gli esseri hanno uguale diritto a questa terra.

(KP Shankaran, Basheer: The philosopher of goodness, The Indian Express. Nostra traduzione)