"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Una voce nella notte

Se ne sono andati, a pochi giorni di distanza, tutti. Si è tenuto oggi, al cimitero di Giubiano (Varese), l'ultimo saluto a Silvia, moglie di Gualtiero Gualtieri: malata da tempo, è tuttavia mancata poco dopo il coniuge e la figlia. Per questo vogliamo una volta di più, anche qui, ricordare la figura del noto conduttore radiofonico e scrittore.


Le ferite della vita, alla fine, hanno sconfitto anche la sua prolungata determinazione alla resistenza. Troppo grande il peso, il cuore non ce l’ha fatta a proseguire. Gualtiero Gualtieri, 74 anni, se n’è andato in silenzio, come molta parte della sua esistenza era rimasta avvolta – volutamente – nel silenzio. E dire che la parola è stata tutto nei suoi giorni, specialmente nelle lunghe stagioni e nelle innumerevoli notti condivise con migliaia e migliaia di ascoltatori alla Radio svizzera di lingua italiana a Besso.

Millevoci nella notte era il titolo della sua trasmissione: difficile trovare un programma dove il filo rosso si identificasse con il suo conduttore. Erano una cosa sola. E gli ascoltatori lo sapevano bene, lo percepivano: anch’essi si affezionavano a quella voce calda, che poteva parere monocorde a tratti, ma che era intensa, quasi vellutata. Gualtiero teneva compagnia al popolo della notte, dalle città ai paesi, oltre San Gottardo e oltre confine, in Italia, soprattutto a chi nella notte avverte spesso i morsi della solitudine.

Si coglieva in lui una malinconia velata, che teneva per sé e spartiva con pochi, perché – con la sua signorilità d’animo – non voleva gravare sugli altri né farsi compatire. Quella era la sua croce e quella portava sulle spalle, insieme con la moglie: la figlia Gea, 31 anni, era nata cieca e con molte altre sofferenze. Pativano insieme, sempre in silenzio, con premure, delicatezze, un amore senza misura. Il numero ristretto di amici che sapevano della sua condizione si stupivano di come sapesse reggere un carico così oneroso. La sua attività professionale, peraltro, non ne risentiva: anzi usciva avvalorata dalla salita – senza fine – sull’erto calle, passo dopo passo.

A questo cruccio, si è aggiunta un’ulteriore ferita: la grave malattia della moglie e Gualtiero si è ritrovato smarrito, ma si è fatto ulteriormente forza, moltiplicandosi e dividendosi per due. Trovava un po’ di sollievo nella scrittura, racconti di vita, ricordi di un passato sereno, speranze presto appassite per un destino sempre più impietoso. I suoi libri sono dei preziosi gioielli, intriganti e fini già dai titoli: Suonavamo l’allegria, Cantar di blu, Era come vestire l’acqua, L’uvamericana, con le Edizioni Ulivo di Alda Bernasconi, una donna-editore che ha saputo cogliere e valorizzare il non comune talento di Gualtiero, sottile osservatore, ironico (di frequente, con amarezza), arguto, sarcastico, sempre profondo.

Ho avuto una qualche complicità in quest’esperienza di Gualtiero come scrittore: lo convinsi a dare alla stampa – con il Giornale del Popolo – il Lunario imperfetto. Il riscontro ottenuto lo indusse a continuare ed è una fortuna poter rileggere la sua nitida, avvincente prosa.

Come non bastasse la gravosità complessiva del suo vivere, si è annunciata cupa e fosca la sofferenza anche per lui, che trascinava il traballante carretto dei giorni di famiglia. Non ce l’ha più fatta: Gualtiero ha deciso di partire portando con sé la sua Gea: inseparabili nella vita, uniti anche nello sciogliere le vele. Con l’angoscia che si può immaginare, domenica 19 luglio è partito dalla sua abitazione a Varese, dicendo di portare la figlia a un concerto di musica classica, di cui era appassionata. Ha fatto rotta su una casa di famiglia a Saltrio, sul confine; entrambi si sono sedati ed entrambi si sono congedati dal mondo sulle note di musica classica, seduti in auto, uno accanto all’altra, nel concerto d’addio. Lì i carabinieri li hanno trovati, allertati dai familiari per il mancato rientro.

Leggeri come piume, si sono involati liberi verso il cielo, che spesso Gualtiero vedeva stellato quando finiva le sue Millevoci, dopo mezzanotte a Besso.

Gli avevo scritto gli ultimi auguri per Natale, una lunga lettera per esprimergli vicinanza piena e per fargli coraggio, aggiungendo anche il rimpianto per non aver capito di più e meglio la missione che svolgeva, ha svolto e continuava a donare con la sua Parola.

Aveva risposto confessando la sua “immensa nostalgia dei tempi di Lugano, della radio, delle voci nella notte… Cose ormai lontanissime dal mio mondo di oggi. I gravi problemi che da molto tempo travagliano la mia famiglia, si son fatti negli ultimi tempi ancora più gravi. Io ormai passo le giornate a cercare di aiutare chi soffre più di me, chi è più malato di me, anche se io stesso sento che forze, energia e spirito di sopravvivenza se ne vanno un po’ per giorno. Gli anni non sono tantissimi. Ma hanno molto stancato. Resta il conforto dell’amicizia come la tua, che anche da lontano sa essere vicina e preziosa e rassicurante… Perché è la prova di non essere vissuto inutilmente”.

Per tutti quelli che hanno conosciuto e hanno voluto bene a Gualtiero Gualtieri, quello di oggi è un giorno che si chiude con uno squarcio al cuore! Addio Gualtiero, mancherai a molti!

(Giuseppe Zois, Addio a Gualtiero Gualtieri, la voce notturna che aiutava a superare le solitudini, L'Osservatore)