Dunque oggi, dopo 86 anni, riapre al culto islamico Santa Sofia a Istanbul.
Veramente è un "grande sogno" di Erdogan che diventa realtà. Soprattutto è un ritorno - considerata anche la volgare, offensiva ricopertura dei preziosi artistici simboli cristiani presenti nell'antica basilica - a un'islamizzazione politico-culturale della Turchia che risponde picche e intende fare a pugni con chi, specialmente dal versante cattolico, cerca invece il dialogo, il confronto, la riconciliazione, lo scambio, l'intesa. Il Vaticano - con un Papa che è stato provocatoriamente invitato alla cerimonia di riconversione cultuale e magari, perché no, anche a scegliere la religione del Profeta - forse non l'ha capito in pieno, forse preferisce diplomaticamente soprassedere e tacere, forse teme, forse altro, chissà. Certo il «sono molto addolorato» di Francesco è apparso a molti, a troppi, reazione decisamente deboluccia, scarsa, perfino ingenua.
Questa islamizzazione politico-culturale della Turchia risponde picche e intende fare a pugni - l'hanno sottolineato, del resto, molti altri illustri ed esperti commentatori - anche con l'ambizione, la linea di demarcazione, il progetto di laicizzazione dello Stato, l'eredità di quella fondamentale figura storica che risponde al nome di Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938). Per il fondatore della Repubblica turca e della Turchia moderna, Kemal Atatürk, l’islam rappresentava la causa principale del crollo dell’Impero Ottomano e l’ostacolo principale all’introduzione di innovazioni politico-sociali, civilizzatrici e tecniche. D’altronde l’epoca delle Tanzimat, delle grandi riforme ottomane, aveva assistito all’opposizione da parte dell’elemento religioso conservatore alla modernizzazione. Anche in campo politico Atatürk individuò nell’islam, rappresentato dalle istituzioni del sultanato e del califfato, il motivo principale dell’arretratezza dell’impero rispetto all’Europa (ci permettiamo di riprendere con qualche aggiunta, in questa parte, un'efficace sintesi storica proposta nel 2014 da La Nuova Bussola Quotidiana).
"Abbiamo perso nostro padre". La prima pagina del quotiano turco TAN dell'11 novembre 1938 con la notizia della morte di Mustafa Kemal Atatürk |
Ebbene dopo la guerra di liberazione (1919-1922), Atatürk avviò una graduale quanto inesorabile laicizzazione della Turchia: il 29 ottobre 1923 con la proclamazione della repubblica fu abolito il sultanato; il 3 marzo 1924 la grande assemblea nazionale ad Ankara decise di abolire anche il califfato. L’ultimo sultano 'Abdulmajid venne espulso dal paese. Anche il sistema educativo fu gradualmente laicizzato: il primo atto fu la chiusura delle 479 scuole superiori di teologia islamica (madrase) poiché il sistema scolastico doveva essere “moderno, scientifico e nazionalista”; nell’autunno 1924, all’inizio dell’anno scolastico, l’insegnamento della religione nei ginnasi fu abolito; all’inizio dell’anno scolastico 1929 scomparve anche dalle scuole secondarie; nel 1930 dalle scuole pubbliche nei centri urbani; nel 1938 anche dalle scuole dei villaggi.
Contemporaneamente Atatürk si premurò di eliminare anche l’”islam popolare”: il sufismo, istituzionalizzato, soprattutto nell’ordine dei giannizzeri, nel corso di tutta la storia ottomana aveva svolto un ruolo significativo nella vita religiosa della popolazione. Poiché da questi ambienti era auspicabile un’opposizione alle misure di laicizzazione adottate, nel 1925 le confraternite furono messe al bando e i loro conventi sequestrati.
Nonostante l’art. 2 della Costituzione del 1924 affermasse che “La religione dello Stato turco è l’islam”, nel 1926 il codice civile basato sul diritto sciariatico fu sostituito da un codice ispirato a quello svizzero che vietava ogni forma di poligamia (mentre in campo criminale si guardò al codice penale italiano).
Nel 1928, il movimento kemalista si sentì sufficientemente sicuro da potere eliminare dalla costituzione l’islam quale religione di Stato. Ma solo nel 1937 fu introdotto il principio della laicità: “Lo Stato turco è repubblicano, nazionalista, popolare, statalista, laico e rivoluzionario”.
Nel frattempo erano stati eliminati anche i segni esteriori della islamicità: nel 1925 il calendario islamico lasciò il posto al calendario europeo; nel 1928 fu introdotto l’alfabeto latino modificato al posto di quello arabo, legato alla religione islamica; dal 1932 l’appello alla preghiera venne consentito solo in turco anziché in arabo; un altro adattamento alla cultura cristiano-occidentale fu l’introduzione nel 1935 della domenica come giorno di riposo; nello stesso anno fu vietato di indossare in pubblico simboli religiosi e ai turchi fu chiesto di cambiare il cognome secondo il modello europeo.
Vennero adottate norme anche sull'abbigliamento: proibiti veli e turbanti, a dettare legge (è proprio il caso di dirlo) fu la moda europea. Lo stesso Atatürk si adeguò sfoggiando abiti continentali. Anche le donne ottennero diritto di voto.
Il cambio di passo, di direzione e di indirizzo è, a un secolo di distanza, ormai più che evidente. Sarà bene che le autorità e le fonti della diplomazia ne prendano atto.