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Se "l'annessione" è ideologica

La lettera pubblicata su Bet Mosaico del 13 luglio scorso, dal titolo “Contro l’annessione: una voce ebraica italiana, una protesta globale”, presenta delle considerazioni alle quali è doveroso replicare.

L’utilizzo di espressioni ormai stereotipe come “violazione del diritto internazionale”, “occupazione di territori palestinesi” o “annessione”, senza che queste siano supportate da concrete argomentazioni di fatto e di diritto rappresenta un tentativo di prestare autorevolezza ad una posizione del tutto pregiudiziale e ideologica drammaticamente diffusa.

L’occupazione e l’annessione per il diritto internazionale presuppongono l’uso della forza e la preesistenza di una sovranità da parte di uno Stato dei territori usurpati.

Nessuna delle due circostanze ricorre nel caso della Giudea e Samaria.

L'insediamento israeliano di Mitzpe Yeriho,
nel deserto della Giudea

Gli ebrei e lo Stato di Israele (sin dalla sua fondazione nel 1948) hanno sempre dovuto lottare per la propria sopravvivenza, messa in pericolo anche nelle sporadiche circostanze della storia in cui gli arabi hanno partecipato a tavoli negoziali per la pace, scientemente abdicati per la violenza ed il terrorismo.

Così fu già nel 1948, quando in risposta alla Risoluzione Onu n.181 gli arabi decisero di rifiutare la nascita dello Stato palestinese; così è stato dopo gli Accordi di Oslo del 1993-1995, ai quali è seguita la già programmata e drammatica Seconda Intifada e così è stato nel 2005, quando, il governo presieduto da Ariel Sharon decise di ritirare Israele dalla Striscia di Gaza, dalla quale l’organizzazione terrorista Hamas continua a bombardare Israele.

Nella lettera pubblicata da Mosaico si afferma che qualora Israele procedesse ad estendere la propria sovranità su una porzione dei territori della Giudea e Samaria verrebbe consolidata de jure la “discriminazione sistematica dei palestinesi”. Sarebbe bastato ai giovani firmatari sapere che, secondo le vigenti disposizioni degli Accordi di Oslo nella tripartizione delle aree della cosiddetta West Bank in territori A, B e C, l’Autorità Palestinese ha piena giurisdizione legale e politica sulla prima, e in parte sostanziale anche sulla seconda, e che, unicamente l’Area C è già demandata al controllo amministrativo e legale israeliano. L’eventuale estensione di sovranità (amministrativa e legislativa) del 30% dei territori circoscritti nel perimetro di tale area, lascerebbe piena facoltà agli arabi palestinesi ivi dimoranti di potere scegliere se diventare o meno cittadini israeliani, con diritto al voto.

La rappresentazione che viene data nella lettera è ideologica e politica, ma non storica e reale.

Che sia il Piano di pace proposto dal Presidente Trump a porre in essere la nascita di uno Stato palestinese privo di continuità territoriale e sovranità politica, rappresenta un’affermazione inconsistente.

La continuità territoriale, per le evidenti caratteristiche geografiche del territorio, non può essere e non è mai stata omogenea. Secondo il Piano americano la sovranità sullo Stato palestinese sarebbe pienamente demandata agli arabi palestinesi, che dovrebbero – come previsto da ogni piano di pace – esprimere una rinuncia al terrorismo e riconoscere lo Stato d’Israele.

È proprio su quest’ultimo aspetto che gli autori della lettera sorvolano tendenziosamente.

La pace potrà esservi solo quando il conflitto arabo-israeliano diverrà un contenzioso territoriale e non un conflitto esistenziale e quando sarà chiesto al mondo arabo di riconoscere il diritto ad esistere dello Stato ebraico.

L’appello dei “giovani ebrei ” è, dunque, unicamente ideologico, capace di creare una spaccatura all’interno delle Comunità ebraiche e spiace che l’organo ufficiale della Comunità Ebraica di Milano ne dia diffusione, facendo da cassa di risonanza per prese di posizione che ricalcano la propaganda codificata nella definizione di antisemitismo dell’IHRA.

Questo spiace ancor di più se si pensa che a propagandare queste ideologie siano le giovani generazioni.

(Dalla parte della verità: una risposta "all’appello" di alcuni giovani ebrei, Bet Mosaico, con numerose firme)