Un bell'articolo sulla relazione amicale, simbolicamente intrecciata un po' ad Atene e un po' a Gerusalemme, tra i filosofi francesi Catherine Chalier ed Emmanuel Levinas (Catherine Chalier et Emmanuel Levinas, une amitié intellectuelle entre Athènes et Jérusalem, La Croix, 15 luglio 2020) c'ispira a ritrovare le profonde considerazioni della Chalier nell'Introduzione al suo Leggere la Torà ("Lire la Torah", 2014).
Catherine Chalier |
La storia lunga e conflittuale dell’interpretazione dei Libri sacri delle religioni monoteiste si perpetua ancora oggi, ma, nelle società secolarizzate del XXI secolo, in particolare in Europa, spesso si radicalizza semplificandosi all’eccesso e pretendendo di contrapporre gli «spiriti liberi» e i fondamentalisti. I primi si richiamano all’Illuminismo e intendono studiare quei Libri con gli strumenti razionali e critici di cui dispongono. Vogliono sottrarre il loro oggetto di studio a qualsiasi status particolare, lottare contro la loro influenza sulle intelligenze e contro le loro conseguenze nefaste in ambito morale e politico svalutando così in maniera decisiva la fonte stessa da cui provengono. Quei libri, a loro avviso, sarebbero opere umane, nient’altro che umane, da apprezzare in quanto tali e da spiegare in funzione di un determinato contesto geografico e storico contingente e ormai passato. I secondi rifiutano quelle intimidazioni che considerano espressione di malevolenza nei loro riguardi e, soprattutto, una ridicolizzazione piena di odio di Colui che, secondo loro, parla in quei Libri mediante l’intermediazione dei Suoi scribi. Essi rifiutano il dibattito e la pluralità interpretativa dei testi al fine di respingere ogni desiderio di allontanarsi dalla «lettera» di quei Libri ritenendoli una devianza da combattere, anche violentemente se necessario. Spesso, coloro che, a un titolo o a un altro, si richiamano a quegli stessi Libri in maniera diversa, sono il loro primo bersaglio. Imporre una «verità» ritenuta immutabile poiché, nella loro ottica, è quella di Dio stesso non ammette alcuna compromissione con i correligionari pronti a «tradire» la lettera con il pretesto dello spirito.
Per quanto possa essere semplificatrice dell’estrema complessità del dibattito sui Libri sacri, questa radicalizzazione è malgrado tutto interessante in quanto le due parti cercano nel passato una legittimazione delle loro posizioni. Passato decostruito, per i primi, al fine di scardinare definitivamente la visione che ne danno quei Libri e liberare il presente dal suo peso; passato congelato in una origine sbarazzata dalle scorie della storia per i secondi, al fine di fare sì che niente cambi più. Benché il confronto fra le due posizioni prenda ampiezza dall’energia posta dai fondamentalismi nel pretendere di portare la risposta alle inquietudini e alle angosce umane, elude tuttavia l’essenziale e non apre alcun orizzonte portatore di speranza né per gli uni né per gli altri. Nelle società democratiche, ognuno preferisce certamente considerarsi uno spirito aperto che sfugge ai pregiudizi e all’oscurantismo religioso, e avrà dunque tendenza a valorizzare il primo atteggiamento. Ciò spiega perché molti approvino la denuncia della regressione intellettuale e spirituale, non solo nelle sue espressioni morali e politiche, rappresentata dal fondamentalismo. Ma dal momento che deriva dall’alternativa semplificatrice sopra ricordata, quella denuncia non ha alcuna possibilità di sbloccare la situazione. Anzi rischia di radicalizzarla. Inoltre, la maggior parte delle persone ignorano quasi tutto sull’argomento. Ignorano il contenuto dei Libri sacri, ignorano la storia della loro interpretazione e dei dibattiti aspri ma anche illuminanti che essi hanno suscitato. Un’ignoranza talvolta drammaticamente incoraggiata, in particolare nelle scuole, con il pretesto di una laicità ansiosa di allontanare ogni possibile influenza di quei Libri sugli spiriti. Di rimando, questa ignoranza comporta anche la semplificazione degli elementi del confronto che, per quanto concerne gli «spiriti liberi», scivola nella condiscendenza intellettuale, e perfino in un animoso disprezzo arrogante nei confronti di coloro che si dedicano ancora a meditare quei Libri in maniera diversa dal metodo storico e critico.
Evidentemente, rispetto a coloro che si appellano a un Libro sacro il cui contenuto è ritenuto così evidente da non necessitare di alcuno sforzo di interpretazione, ma unicamente una sottomissione a ciò che dice – o quantomeno a quello che le autorità religiose affermano a proposito di esso –, è meglio preferire la libertà di pensiero, di giudizio e di critica. La sottomissione non può essere una scelta di buon auspicio! Anche se considerata come una opzione personale, essa è sempre portatrice di un’aura sinistra per le persone e per le società umane. Il suo fardello di violenza e di intolleranza, là dove è in grado di imporlo, non può infatti che impegnare a lottare contro di essa. Tuttavia, attenendosi al metodo storico-critico, si potrà mai vincere la tentazione di una sottomissione cieca, ma anche piena di fervore, a quanto è reputato essere l’immediatezza della lettera dei Libri sacri? Ci si potrà contrapporre al gusto della sottomissione entusiasta o, al contrario, piena di terrore, di coloro che si arrogano il diritto esclusivo di parlare in nome di Dio se ci si limita a fare appello alla colta e razionale vigilanza di tale metodo?
Niente è meno sicuro. L’approccio scientifico ai grandi Libri religiosi dell’umanità, come vedremo per quanto concerne la Torà, apre prospettive che certamente devono essere prese in considerazione, ma tenendo presente il quadro d’insieme, senza lasciarsi cioè soggiogare dal verdetto della «scienza». Esso lascerebbe senza voce i meno accademicamente colti quali sono quasi tutti i lettori di quei Libri. Gli studi storico-critici non devono diventare a loro volta un’autorità che esige sottomissione, il che porterebbe a un estremo impoverimento di ciò che quei Libri mettono in gioco per gli esseri umani. Del resto, e soprattutto nell’ottica di questo saggio, quegli studi scartano come non pertinenti per il loro scopo le questioni spirituali ed esistenziali che gli esseri umani si pongono ora cercando, talvolta a tentoni, una risposta o un semplice orientamento nei Libri. Gli studi scientifici ignorano l’immensa letteratura costituita nel corso dei secoli dalle interpretazioni filosofiche o spirituali dei Libri religiosi. Opporre, come ha fatto Thomas Römer nella sua lezione inaugurale al Collège de France, le letture «soggettive» della Bibbia alle letture rigorose e scientifiche, di cui egli è uno studioso rimarchevole, si basa su un presupposto discutibile. La «soggettività» in tale ottica apparterrebbe necessariamente alla sfera privata, dipendente dall’immaginazione e dall’affettività, e le «letture» che propone della Bibbia mancherebbero dunque di scientificità e non meriterebbero l’attenzione del dotto accademico. Per contro, la scienza, nel suo sforzo di obiettività e con l’immenso lavoro che richiede, deterrebbe l’esclusiva di un approccio qualificato alla Bibbia, degno di insegnamento e di condivisione. Come vedremo, questa pretesa dell’ambito scientifico di sfuggire alla non pertinenza della «soggettività» in materia di lettura biblica è da dimostrare. Tuttavia il punto essenziale di questa premessa è un altro: nessuno potrà mai vincere, o semplicemente scuotere il fondamentalismo, opponendogli gli argomenti di una scienza supposta obiettiva, al riparo dei misfatti della soggettività umana, tanto degli individui quanto delle collettività o dei popoli.
Esiste un’altra via? Una via che garantisca la serietà dello studio minuzioso dei testi, delle lingue in cui i Libri sono stati scritti, del passato di cui parlano, senza tuttavia considerare la «soggettività» come «la pazza di famiglia». Una via che, al contrario, ritenga che, per quanto non siano necessariamente quelle che il dotto accademico richiede, le domande «soggettive», private o condivise con altri, poste ai testi permettono di scoprirne nuove possibilità di significato che, lungi da essere chimere relative all’idiosincrasia degli individui o delle comunità, li illuminano di una vivida luce e di rimando, come vedremo, il senso stesso della «soggettività» umana ne sarà approfondito in maniera originale, vi troverà materia per interpretare se stessa. Non si tratta più infatti, come nell’approccio scientifico, di esercitare la sagacia intellettuale al fine di «classificare» i Libri sacri, tra numerosi altri, «in una sfera profana» per trarne un sapere relativo al passato e, spesso, per supportare una tacita posizione ideologica, ma di confrontare la propria vita con una parola che si ode in quei Libri. Parola che va oltre i concetti i quali, pretendendo di esprimere in maniera ferma e precisa il sapere di tutto ciò che essa suggerisce, la impoveriscono sempre. Ma per prestare attenzione a quel di più della parola rispetto al sapere è necessario ascoltarla ancora mantenendo in allerta il proprio essere.
Una lettura spirituale rientra in questo ordine di pensiero. Essa non si oppone alla ragione, non si rifà solo agli affetti, alla fantasia, al sogno o alla divagazione, essa incoraggia la ragione a mettersi all’ascolto di ciò che la trascende e di cui il linguaggio del libro che studia è testimone. Essa forse ha più possibilità di una lettura strettamente scientifica di aprirsi alle inquietudini umane, nella profondità della loro dimensione antropologica irriducibile a un ambito politico. Risparmierà forse agli esseri umani di cercare nel fondamentalismo la brutalità di una risposta destinata a bloccare ogni domanda, a colmare il vuoto o a ricucire le ferite? La risposta è incerta poiché coloro che vogliono giustificare la loro violenza servendosi di un Libro sacro troveranno sempre in esso di cosa alimentarla sbandierando questo o quel versetto che secondo loro la legittima. Essi diffideranno di quelle letture spirituali aperte a un futuro che non somiglia all’immobilità di un passato mistificato e, soprattutto, aperte alla necessità di leggere in altro modo i versetti. Sappiamo che i fondamentalisti, quando ne hanno il potere, possono dimostrarsi temibili persecutori della libertà di interpretare i Libri. Tuttavia non possiamo forse sperare anche che questo tipo di lettura abbia la forza di attirare l’attenzione di chi ancora porta in sé il sentimento religioso malgrado l’ampiezza della secolarizzazione ormai irreversibile, e prevenire l’eventuale tentazione di cedere alle sirene dell’intransigenza fondamentalista?
Le domande spirituali, intendendo come tali le domande che non separano mai la ricerca del senso e della verità da un lavoro esigente su se stessi, nonostante tutto non sono sparite dalle società umane, compreso quelle in preda all’ubriacatura della loro violenza o della loro arroganza e del loro innato scetticismo. Ora, in tempi di estrema fragilità del senso che gli individui e i popoli danno alla loro esistenza, chiunque sente quelle domande come rivolte a lui scopre molto rapidamente la loro irriducibilità tanto al fondamentalismo quanto alla scienza. Infatti la via spirituale, anche quando presta attenzione al lavoro dei dotti accademici, non può acconsentire alla neutralizzazione della Parola attuata per mezzo del sapere (storico, archeologico ecc.) e all’ipoteca che anche loro fanno pesare sulla libertà, in questo caso la libertà di pensare e di vivere con modalità diverse dall’essere guidati da presupposti di ordine scientifico.
Assimilando troppo presto quella Parola a un assemblaggio di discorsi fatti dagli antichi (ebrei o arabi, per esempio), discorsi messi per scritto in una determinata epoca, e cercando con quale disegno – soprattutto politico – furono scritti, quelle ricerche sottostimano la forza della Parola. O, più esattamente, non la capiscono, poiché non ascoltano il loro parlare qui e ora. Essa è diventata un «oggetto» sul quale esercitare la propria erudizione e la propria scienza, la propria diffidenza e talvolta anche il proprio orgoglio. Ma se i grandi Libri religiosi dell’umanità, la Torà, la Bibbia cristiana e il Corano, insieme ad altri, vengono studiati unicamente in questa maniera, se sono riducibili alle intenzioni dei loro antichi autori, come spiegare allora che nel corso dei secoli abbiano potuto suscitare tante interpretazioni filosofiche o spirituali? È forse l’effetto di una alienazione politica e intellettuale di cui gli studi accademici dovrebbero finalmente liberarci? Una risposta positiva in tal senso renderebbe ancora più tragico il pericolo delle società del XXI secolo in preda alle febbri brutali e fanatiche del fondamentalismo; poiché se non c’è altra risposta a quella intolleranza e a quella miseria del pensiero eccetto quella della razionalità scientifica e critica di fronte a quei Libri, non c’è alcun dubbio che le posizioni fondamentaliste persisteranno. Rischiano perfino di diventare più dure generando ancora più violenza e attirando spiriti alla ricerca di sicurezza e talvolta di rivalsa nelle società in cui il relativismo, lo smarrimento spirituale e l’ingiustizia hanno il vento in poppa malgrado la scienza. Il fondamentalismo infatti, nelle sue diverse espressioni religiose, percepisce bene tutto questo e cerca di fare ritorno a un passato immaginario, un passato che sarebbe possibile ritrovare tale e quale, purificato dalle incertezze del divenire e capace, una volta per tutte, di salvare dal pericolo della grande fragilità che prevale ovunque, a condizione imperativa di non cambiare alcunché. Ma la scelta è veramente tra questa mortificazione della vita in nome di un Libro e il distacco critico da quel Libro in nome della scienza?
Assimilando la spiritualità alle aleatorietà inconsistenti di una soggettività intrusiva e partigiana, l’approccio storico-critico ai Libri sacri sembra pensarlo. La nobiltà e la necessità delle sue ricerche sono incontestabili, ma il pregiudizio di partenza sulla soggettività richiede un esame. Nel caso della lettura dei Libri, «soggettività» non significa affatto un punto di vista ristretto e interessato su una questione o chiusura in un particolarismo in rottura con il legame sociale e ribelle a ogni universalismo. In questo contesto essa caratterizza lo sforzo costante di una persona per ricevere in maniera viva e vera un determinato retaggio di parole e di significati. Sforzo che non condanna al solipsismo e al disinteresse per le questioni politiche e sociali, poiché è condiviso con coloro che, decisi ad andare sempre al di là del senso ovvio dei Libri, cercano di interpretare la loro esistenza, non solo individuale, secondo quella Parola.
(Catherine Chalier, Leggere la Torà. Traduzione di Vanna Lucattini Vogelmann)
Per quanto possa essere semplificatrice dell’estrema complessità del dibattito sui Libri sacri, questa radicalizzazione è malgrado tutto interessante in quanto le due parti cercano nel passato una legittimazione delle loro posizioni. Passato decostruito, per i primi, al fine di scardinare definitivamente la visione che ne danno quei Libri e liberare il presente dal suo peso; passato congelato in una origine sbarazzata dalle scorie della storia per i secondi, al fine di fare sì che niente cambi più. Benché il confronto fra le due posizioni prenda ampiezza dall’energia posta dai fondamentalismi nel pretendere di portare la risposta alle inquietudini e alle angosce umane, elude tuttavia l’essenziale e non apre alcun orizzonte portatore di speranza né per gli uni né per gli altri. Nelle società democratiche, ognuno preferisce certamente considerarsi uno spirito aperto che sfugge ai pregiudizi e all’oscurantismo religioso, e avrà dunque tendenza a valorizzare il primo atteggiamento. Ciò spiega perché molti approvino la denuncia della regressione intellettuale e spirituale, non solo nelle sue espressioni morali e politiche, rappresentata dal fondamentalismo. Ma dal momento che deriva dall’alternativa semplificatrice sopra ricordata, quella denuncia non ha alcuna possibilità di sbloccare la situazione. Anzi rischia di radicalizzarla. Inoltre, la maggior parte delle persone ignorano quasi tutto sull’argomento. Ignorano il contenuto dei Libri sacri, ignorano la storia della loro interpretazione e dei dibattiti aspri ma anche illuminanti che essi hanno suscitato. Un’ignoranza talvolta drammaticamente incoraggiata, in particolare nelle scuole, con il pretesto di una laicità ansiosa di allontanare ogni possibile influenza di quei Libri sugli spiriti. Di rimando, questa ignoranza comporta anche la semplificazione degli elementi del confronto che, per quanto concerne gli «spiriti liberi», scivola nella condiscendenza intellettuale, e perfino in un animoso disprezzo arrogante nei confronti di coloro che si dedicano ancora a meditare quei Libri in maniera diversa dal metodo storico e critico.
Evidentemente, rispetto a coloro che si appellano a un Libro sacro il cui contenuto è ritenuto così evidente da non necessitare di alcuno sforzo di interpretazione, ma unicamente una sottomissione a ciò che dice – o quantomeno a quello che le autorità religiose affermano a proposito di esso –, è meglio preferire la libertà di pensiero, di giudizio e di critica. La sottomissione non può essere una scelta di buon auspicio! Anche se considerata come una opzione personale, essa è sempre portatrice di un’aura sinistra per le persone e per le società umane. Il suo fardello di violenza e di intolleranza, là dove è in grado di imporlo, non può infatti che impegnare a lottare contro di essa. Tuttavia, attenendosi al metodo storico-critico, si potrà mai vincere la tentazione di una sottomissione cieca, ma anche piena di fervore, a quanto è reputato essere l’immediatezza della lettera dei Libri sacri? Ci si potrà contrapporre al gusto della sottomissione entusiasta o, al contrario, piena di terrore, di coloro che si arrogano il diritto esclusivo di parlare in nome di Dio se ci si limita a fare appello alla colta e razionale vigilanza di tale metodo?
Niente è meno sicuro. L’approccio scientifico ai grandi Libri religiosi dell’umanità, come vedremo per quanto concerne la Torà, apre prospettive che certamente devono essere prese in considerazione, ma tenendo presente il quadro d’insieme, senza lasciarsi cioè soggiogare dal verdetto della «scienza». Esso lascerebbe senza voce i meno accademicamente colti quali sono quasi tutti i lettori di quei Libri. Gli studi storico-critici non devono diventare a loro volta un’autorità che esige sottomissione, il che porterebbe a un estremo impoverimento di ciò che quei Libri mettono in gioco per gli esseri umani. Del resto, e soprattutto nell’ottica di questo saggio, quegli studi scartano come non pertinenti per il loro scopo le questioni spirituali ed esistenziali che gli esseri umani si pongono ora cercando, talvolta a tentoni, una risposta o un semplice orientamento nei Libri. Gli studi scientifici ignorano l’immensa letteratura costituita nel corso dei secoli dalle interpretazioni filosofiche o spirituali dei Libri religiosi. Opporre, come ha fatto Thomas Römer nella sua lezione inaugurale al Collège de France, le letture «soggettive» della Bibbia alle letture rigorose e scientifiche, di cui egli è uno studioso rimarchevole, si basa su un presupposto discutibile. La «soggettività» in tale ottica apparterrebbe necessariamente alla sfera privata, dipendente dall’immaginazione e dall’affettività, e le «letture» che propone della Bibbia mancherebbero dunque di scientificità e non meriterebbero l’attenzione del dotto accademico. Per contro, la scienza, nel suo sforzo di obiettività e con l’immenso lavoro che richiede, deterrebbe l’esclusiva di un approccio qualificato alla Bibbia, degno di insegnamento e di condivisione. Come vedremo, questa pretesa dell’ambito scientifico di sfuggire alla non pertinenza della «soggettività» in materia di lettura biblica è da dimostrare. Tuttavia il punto essenziale di questa premessa è un altro: nessuno potrà mai vincere, o semplicemente scuotere il fondamentalismo, opponendogli gli argomenti di una scienza supposta obiettiva, al riparo dei misfatti della soggettività umana, tanto degli individui quanto delle collettività o dei popoli.
Esiste un’altra via? Una via che garantisca la serietà dello studio minuzioso dei testi, delle lingue in cui i Libri sono stati scritti, del passato di cui parlano, senza tuttavia considerare la «soggettività» come «la pazza di famiglia». Una via che, al contrario, ritenga che, per quanto non siano necessariamente quelle che il dotto accademico richiede, le domande «soggettive», private o condivise con altri, poste ai testi permettono di scoprirne nuove possibilità di significato che, lungi da essere chimere relative all’idiosincrasia degli individui o delle comunità, li illuminano di una vivida luce e di rimando, come vedremo, il senso stesso della «soggettività» umana ne sarà approfondito in maniera originale, vi troverà materia per interpretare se stessa. Non si tratta più infatti, come nell’approccio scientifico, di esercitare la sagacia intellettuale al fine di «classificare» i Libri sacri, tra numerosi altri, «in una sfera profana» per trarne un sapere relativo al passato e, spesso, per supportare una tacita posizione ideologica, ma di confrontare la propria vita con una parola che si ode in quei Libri. Parola che va oltre i concetti i quali, pretendendo di esprimere in maniera ferma e precisa il sapere di tutto ciò che essa suggerisce, la impoveriscono sempre. Ma per prestare attenzione a quel di più della parola rispetto al sapere è necessario ascoltarla ancora mantenendo in allerta il proprio essere.
Una lettura spirituale rientra in questo ordine di pensiero. Essa non si oppone alla ragione, non si rifà solo agli affetti, alla fantasia, al sogno o alla divagazione, essa incoraggia la ragione a mettersi all’ascolto di ciò che la trascende e di cui il linguaggio del libro che studia è testimone. Essa forse ha più possibilità di una lettura strettamente scientifica di aprirsi alle inquietudini umane, nella profondità della loro dimensione antropologica irriducibile a un ambito politico. Risparmierà forse agli esseri umani di cercare nel fondamentalismo la brutalità di una risposta destinata a bloccare ogni domanda, a colmare il vuoto o a ricucire le ferite? La risposta è incerta poiché coloro che vogliono giustificare la loro violenza servendosi di un Libro sacro troveranno sempre in esso di cosa alimentarla sbandierando questo o quel versetto che secondo loro la legittima. Essi diffideranno di quelle letture spirituali aperte a un futuro che non somiglia all’immobilità di un passato mistificato e, soprattutto, aperte alla necessità di leggere in altro modo i versetti. Sappiamo che i fondamentalisti, quando ne hanno il potere, possono dimostrarsi temibili persecutori della libertà di interpretare i Libri. Tuttavia non possiamo forse sperare anche che questo tipo di lettura abbia la forza di attirare l’attenzione di chi ancora porta in sé il sentimento religioso malgrado l’ampiezza della secolarizzazione ormai irreversibile, e prevenire l’eventuale tentazione di cedere alle sirene dell’intransigenza fondamentalista?
Le domande spirituali, intendendo come tali le domande che non separano mai la ricerca del senso e della verità da un lavoro esigente su se stessi, nonostante tutto non sono sparite dalle società umane, compreso quelle in preda all’ubriacatura della loro violenza o della loro arroganza e del loro innato scetticismo. Ora, in tempi di estrema fragilità del senso che gli individui e i popoli danno alla loro esistenza, chiunque sente quelle domande come rivolte a lui scopre molto rapidamente la loro irriducibilità tanto al fondamentalismo quanto alla scienza. Infatti la via spirituale, anche quando presta attenzione al lavoro dei dotti accademici, non può acconsentire alla neutralizzazione della Parola attuata per mezzo del sapere (storico, archeologico ecc.) e all’ipoteca che anche loro fanno pesare sulla libertà, in questo caso la libertà di pensare e di vivere con modalità diverse dall’essere guidati da presupposti di ordine scientifico.
Assimilando troppo presto quella Parola a un assemblaggio di discorsi fatti dagli antichi (ebrei o arabi, per esempio), discorsi messi per scritto in una determinata epoca, e cercando con quale disegno – soprattutto politico – furono scritti, quelle ricerche sottostimano la forza della Parola. O, più esattamente, non la capiscono, poiché non ascoltano il loro parlare qui e ora. Essa è diventata un «oggetto» sul quale esercitare la propria erudizione e la propria scienza, la propria diffidenza e talvolta anche il proprio orgoglio. Ma se i grandi Libri religiosi dell’umanità, la Torà, la Bibbia cristiana e il Corano, insieme ad altri, vengono studiati unicamente in questa maniera, se sono riducibili alle intenzioni dei loro antichi autori, come spiegare allora che nel corso dei secoli abbiano potuto suscitare tante interpretazioni filosofiche o spirituali? È forse l’effetto di una alienazione politica e intellettuale di cui gli studi accademici dovrebbero finalmente liberarci? Una risposta positiva in tal senso renderebbe ancora più tragico il pericolo delle società del XXI secolo in preda alle febbri brutali e fanatiche del fondamentalismo; poiché se non c’è altra risposta a quella intolleranza e a quella miseria del pensiero eccetto quella della razionalità scientifica e critica di fronte a quei Libri, non c’è alcun dubbio che le posizioni fondamentaliste persisteranno. Rischiano perfino di diventare più dure generando ancora più violenza e attirando spiriti alla ricerca di sicurezza e talvolta di rivalsa nelle società in cui il relativismo, lo smarrimento spirituale e l’ingiustizia hanno il vento in poppa malgrado la scienza. Il fondamentalismo infatti, nelle sue diverse espressioni religiose, percepisce bene tutto questo e cerca di fare ritorno a un passato immaginario, un passato che sarebbe possibile ritrovare tale e quale, purificato dalle incertezze del divenire e capace, una volta per tutte, di salvare dal pericolo della grande fragilità che prevale ovunque, a condizione imperativa di non cambiare alcunché. Ma la scelta è veramente tra questa mortificazione della vita in nome di un Libro e il distacco critico da quel Libro in nome della scienza?
Assimilando la spiritualità alle aleatorietà inconsistenti di una soggettività intrusiva e partigiana, l’approccio storico-critico ai Libri sacri sembra pensarlo. La nobiltà e la necessità delle sue ricerche sono incontestabili, ma il pregiudizio di partenza sulla soggettività richiede un esame. Nel caso della lettura dei Libri, «soggettività» non significa affatto un punto di vista ristretto e interessato su una questione o chiusura in un particolarismo in rottura con il legame sociale e ribelle a ogni universalismo. In questo contesto essa caratterizza lo sforzo costante di una persona per ricevere in maniera viva e vera un determinato retaggio di parole e di significati. Sforzo che non condanna al solipsismo e al disinteresse per le questioni politiche e sociali, poiché è condiviso con coloro che, decisi ad andare sempre al di là del senso ovvio dei Libri, cercano di interpretare la loro esistenza, non solo individuale, secondo quella Parola.
(Catherine Chalier, Leggere la Torà. Traduzione di Vanna Lucattini Vogelmann)