"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Pensiero senza ringhiera

Il manifesto della mostra Hannah Arendt and the 20th Century posticipata a causa delle chiusure per il Coronavirus ma aperta dall'11 maggio - è un primo piano in bianco e nero della filosofa tedesca, mento sulla mano, viso leggermente inclinato verso l'alto, un'espressione pensierosa sul volto e una sigaretta accesa in mano. La sua stimolante didascalia recita: "Nessuno ha il diritto di obbedire".

Hannah Arendt nel 1966
© Art Resource, New York,
Hannah Arendt Bluecher Literary Trust

La mostra esamina in 16 sezioni la prospettiva soggettiva della pensatrice su eventi storici - con foto, documenti sonori e cinematografici, oggetti dell'abitazione privata della Arendt e prestiti internazionali. L'obiettivo è presentare eventi chiave nella storia del 20° secolo in un modo nuovo.

L'elenco delle controversie che l'intellettuale filosofa ha innescato è lungo, e il suo libro del 1963 Eichmann a Gerusalemme - uno dei soggetti principali della mostra - sta certamente in cima alla lista.

Nel 1961, Hannah Arendt assistette al processo dell'ex SS-Obersturmbannführer Adolf Eichmann a Gerusalemme come giornalista. Eichmann fu responsabile delle deportazioni di milioni di ebrei nei campi di concentramento e di sterminio.

L'articolo della Arendt sul processo apparve nel 1963 su The New Yorker e poi come libro con il sottotitolo "Un resoconto sulla banalità del male". Lei descrive Adolf Eichmann come un tecnocrate senza convinzioni che si è stilizzato come un semplice strumento dei suoi superiori.

La banalità del male
La banalità del male, la famosa frase coniata dalla Arendt, è caratterizzata da spensieratezza organizzata e irresponsabilità, ha scritto lei. L'obbedienza "incondizionata" a cui Eichmann si riferiva ripetutamente era un'espressione di questa spensieratezza e irresponsabilità.

La controversia che circonda il resoconto della Arendt è stata scatenata non soltanto dal titolo e dalla questione della "banalità", ma anche dal fatto che ha messo in dubbio la reazione delle "Judenräte" (Consigli ebraici) agli sviluppi nella Germania dell'epoca.

I membri di queste istituzioni erano colpevoli di collaborazione? 

"Stiamo mettendo in discussione l'analisi di Hannah Arendt sulle questioni del 20° secolo", afferma la curatrice della mostra Monika Boll. "Non perché crediamo che Hannah Arendt abbia sempre ragione, ma trasmettendo il suo entusiasmo per il pensiero analitico ai visitatori, vogliamo che si formino le loro opinioni". 

Hannah Arendt, che considerava il pensiero critico un'attività eminentemente politica, sarebbe sicuramente d'accordo con questo approccio. Dopotutto, la filosofa ha ritenuto che il nazionalsocialismo abbia comportato non solo un crollo di tutti i valori morali, ma anche la rottura della capacità di mostrare giudizio, sottolinea la Boll. Le opinioni sono state sincronizzate; la gente ha imparato a parlare come "noi" e non "io" - e la questione della responsabilità personale è stata quindi spostata alle autorità impersonali, dice la Boll.

Una pensatrice del 20° secolo
Nata nel 1906 come figlia di genitori ebrei laici vicino ad Hannover, Hannah Arendt è cresciuta negli ambienti istruiti di Königsberg. Nel 1924 ha iniziato a studiare filosofia e teologia, prima a Marburg, poi a Friburgo e Heidelberg. Ha conseguito il dottorato in filosofia nel 1928 con Karl Jaspers.

Ha scritto per il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung ed esaminato i testi di Rahel Varnhagen von Ense, una intellettuale donna ebrea del periodo Romantico la cui vita era considerata un esempio di assimilazione riuscita - a differenza della Arendt, che era scettica sull'idea dell'assimilazione nel nome dell'uguaglianza di tutte le persone. Considerava questa politicamente ingenua, una posizione che spesso offendeva le persone.

Hannah Arendt aveva anticipato già nel 1931 che i Nazisti sarebbero saliti al potere. Due anni dopo, e diversamente dalla maggior parte delle persone che vivevano in Germania a quel tempo, le era chiaro che i Tedeschi dovevano combattere attivamente contro il regime.

Nello stesso anno, la giovane donna è emigrata in Francia, dove ha lavorato per organizzazioni Sioniste a Parigi in concomitanza con il suo lavoro accademico. Nel 1941, è fuggita con suo marito e sua madre a New York via Lisbona. Hannah Arendt è stata naturalizzata cittadina americana nel 1951.

"Pensare senza ringhiera"
È restata fedele a se stessa per tutta la vita, senza mai seguire una particolare scuola, tradizione o ideologia. Il suo pensiero, afferma Monika Boll, è difficile da classificare ed è per questo che è così interessante. "Puoi sempre trovare nel suo pensiero elementi liberali oltre che conservatori e di sinistra, il che rende molto difficile collocarla in qualsiasi campo politico. La stessa Hannah Arendt lo ha definito "pensare senza ringhiera". Era pure un'eccellente scrittrice. Tutto questo contribuisce al suo fascino, dice la Boll: "Ecco perché alla gente piace guardare alla sua vita e alle sue opere".

In effetti, le corrispondenze della Arendt dalla Germania del dopoguerra, le sue osservazioni sulla questione dei rifugiati, il razzismo in America o il movimento studentesco internazionale riescono sempre a sorprendere le persone. Le sue osservazioni incoraggiano i visitatori della mostra di Berlino a ripensare le proprie opinioni.

La Boll spera anche che la mostra ispiri i visitatori a rendersi conto che è importante formarsi delle proprie convinzioni ben fondate. In tempi di fake news e di isteria di massa, generate dai social media, Hannah Arendt è un meraviglioso antidoto.

(Silke Bartlick, Deutsche Welle. Nostra traduzione)