"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Divisione dei poteri, garanzia di libertà

Vi sono in ogni Stato tre specie di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, ed il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto civile.


Grazie al primo, il principe o il magistrato fa delle leggi per un certo tempo o per sempre ed emenda o abroga quelle che sono già fatte. Grazie al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve ambasciate, organizza la difesa, previene le invasioni. Grazie al terzo, punisce i delitti, o giudica le controversie dei privati. Chiameremo quest'ultimo potere giudiziario e l'altro semplicemente potere esecutivo dello Stato.

La libertà politica è quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a ciascun cittadino; e condizione di questa libertà è un governo organizzato in modo tale che nessun cittadino possa temerne un altro.

Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non esiste libertà; perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano delle leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente.

E non vi è libertà neppure quando il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: poiché il giudice sarebbe il legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore.

Tutto sarebbe perduto se un'unica persona, o un unico corpo di notabili, di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o le controversie dei privati.

Nella maggior parte dei regni europei, il governo è moderato, perché il principe, che ha i due primi poteri, lascia ai propri sudditi l’esercizio del terzo. Presso i Turchi, dove questi tre poteri sono riuniti nella persona del sultano, regna uno spaventoso dispotismo. […]

Poiché, in uno Stato libero, ogni uomo presumibilmente dotato di uno spirito libero deve governarsi da sé, bisognerebbe che tutto il popolo esercitasse il potere legislativo. Ma essendo ciò impossibile nei grandi Stati e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, occorre che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto ciò che non può fare da sé. […]

Il grande vantaggio dei rappresentanti sta nel fatto che essi sono capaci di discutere i problemi di interesse pubblico. Il popolo non è per nulla adatto ad un tal compito, ed è questo uno dei grandi inconvenienti della democrazia. […]

Un vizio fondamentale della maggior parte delle repubbliche antiche era che il popolo aveva il diritto di prendere delle risoluzioni attive, che richiedevano una esecuzione, cosa di cui è assolutamente incapace. Esso deve entrare nel governo solo per scegliere i propri rappresentanti, il che è pienamente alla sua portata. […] 

Il corpo rappresentativo non deve esser scelto per prendere risoluzioni attive, cosa che non potrebbe far bene, ma per fare delle leggi o per garantire la buona esecuzione di quelle che egli ha fatto, cosa che può benissimo fare, che nessun altro, anzi, può far meglio.

(Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, Lo spirito delle leggi, Divisione dei poteri e garanzia di libertà, libro XI cap. VI, in Antologia degli scritti politici del Montesquieu, Il Mulino, Bologna, 1977)