"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Il mondo di domani

Sulla pandemia da Coronavirus e le sue conseguenze politiche, economiche e sociali, intervista ad Alain de Benoist: scrittore, filosofo e giornalista francese, fondatore del movimento culturale denominato "Nouvelle Droite" (Nuova Destra)

  
Ora che la situazione sembra in via di soluzione, possiamo dire che il governo, anche se manifestamente preso alla sprovvista, ha fatto troppo oppure non abbastanza di fronte all'epidemia, o semplicemente ha fatto quel che poteva?

Non c'è altro modo per dirlo: la reazione delle autorità al Covid-19 è stata veramente disastrosa. Cinque mesi dopo l'inizio dell'epidemia, non abbiamo ancora raggiunto la capacità di verifica che avremmo dovuto avere quando sono comparsi i primi decessi. Il governo si è dapprima rifugiato nella negazione (non ci colpirà, è un'influenzetta), dopo di che abbiamo assistito a una sfilata incessante di confusione, istruzioni contraddittorie e menzogne ​​di Stato. Nulla è stato stato pianificato, mentre negli ultimi anni erano aumentate molte voci per prevedere una nuova pandemia dall'Asia. La prima ragione risiede nell'incapacità delle autorità pubbliche di pensare al di là del breve termine. Ma la causa fondamentale è che, per conformarci alle regole dell'ideologia liberale, abbiamo voluto sottoporre il settore della sanità pubblica a princìpi di redditività, concorrenza e gestione dei flussi che hanno portato all'eliminazione di migliaia di posti letto, alla distruzione delle scorte di riserva, alla precarizzazione crescente di un personale già sottopagato. In altri termini, abbiamo integrato nel sistema di mercato un'area che è, per definizione, fuori mercato. Il risultato è stato un crollo generalizzato della capacità dell'ospedale pubblico.

Non si tratta certamente di una rivelazione. Il personale ospedaliero ha lanciato allarmi per anni senza mai venire ascoltato. Oggi, Macron e i suoi cloni si uniscono in ringraziamenti verso gli operatori sanitari. Sarebbe stato meglio dar loro i mezzi per lavorare e soddisfare le loro giuste richieste.

Anche nel Medioevo, il confinamento dei portatori sani non ha mai permesso di arginare un'epidemia. Da questo punto di vista, il confinamento generalizzato è stato prima di tutto un'ammissione di impotenza: abbiamo confinato tutto il mondo perché non avevamo né mascherine (che prima abbiamo dichiarato "inutili", per poi rendere quasi obbligatorio indossarle), né test di verifica, né apparecchiature per la rianimazione, né strumenti di assistenza rianimatoria. In Europa, i paesi meglio equipaggiati sono anche quelli meno confinati. Poi, quando abbiamo iniziato ad allentare il confinamento, abbiamo adottato un'intera serie di regolamenti punitivi perfettamente folli. Piuttosto che affrontare, il governo si è nascosto dietro il consiglio degli "scienziati", che poi non sono neppure d'accordo tra di loro. In breve, abbiamo subìto. E probabilmente non è finita.

Al di là delle considerazioni tecniche, non abbiamo forse assistito a un nuovo passo verso una sorta di società della paura generalizzata, con l'interiorizzazione del principio di precauzione, che può avere la tendenza a farci barattare un parvenza di sicurezza con privazioni di libertà altrimenti più tangibili?

Da quando sono stati posti come sinonimi la felicità e l'allungamento della vita, è risaputo che le persone sono pronte ad accettare quasi tutto in cambio di una promessa di sicurezza. Senza cadere nel cospirazionismo, è chiaro che il confinamento ha anche costituito una prova di docilità su vasta scala. Siamo stati in grado di valutare in quali condizioni è stato possibile convincere le persone a diventare i carcerieri di se stessi. Parallelamente, con il pretesto dello stato di emergenza sanitaria, sono state adottate nuove misure di sorveglianza e controllo che hanno tutte le possibilità di essere perpetuate venendo integrate nel diritto ordinario. Le misure adottate in passato per combattere il terrorismo hanno finito per influenzare in modo simile l'intera popolazione. Ogni crisi offre dunque l'occasione di dare una stretta al bullone.

Numerosi commentatori fanno glosse su "il mondo di domani". Pensa che una semplice epidemia possa bastare per rimettere in discussione i fondamenti del sistema? In altre parole, il capitalismo globalizzato dovrà rivedere il suo programma o ha ancora risorse abbastanza per perpetuarsi senza cambiare nulla della sua funzione storica?

Nessuna epidemia può, da sola, provocare una rivoluzione politica, e tanto meno la scomparsa di un'ideologia dominante. D'altra parte, è evidente che si sogna ad occhi aperti quando s'immagina che "nulla sarà più come prima". Coloro che sostengono che nulla cambia dispongono di mezzi enormi per ottenerlo. Ma la ripresa non sarà facile. Qui, non è l'epidemia che conta, ma cosa si produrrà dopo. Interi settori di attività economica sono già fin d'ora devastati e molti non si riprenderanno. Il governo indennizza, per il momento, la disoccupazione parziale, ma questa  non sarà che un tempo. Nel prossimo anno, o più probabilmente nei prossimi due, possiamo aspettarci innumerevoli fallimenti e piani di licenziamento. La disoccupazione crescerà nettamente. La crisi economica e sociale può, essa stessa, sfociare in una crisi finanziaria di prima grandezza. L'Europa è già entrata in recessione e, per ripagare gli aiuti di emergenza ai quali ha dovuto acconsentire, l'indebitamento dello Stato raggiungerà un'altezza stratosferica. Tutto ciò dovrebbe portare a una collera sociale rispetto alla quale il movimento dei gilet gialli apparirà in retrospettiva poca cosa.

Vivendo io stesso più o meno confinato da oltre trent'anni, il confinamento non ha cambiato molto nel mio modo di vivere! Ma per le classi popolari, che si sono ritrovate agli arresti domiciliari per due mesi, il confinamento è stato insopportabile. Sono le stesse classi popolari che hanno consentito al Paese di continuare a funzionare, il che ha permesso di constatare, una volta di più, che sono queste le fasce più essenziali della popolazione, che sono pure le più mal pagate. La crisi economica che si annuncia va dunque a colpirle in pieno. Le conseguenze sono ancora imprevedibili, ma dovrebbero essere enormi.

(Intervista di Nicolas Gauthier. Nostra traduzione)