"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Torce umane in segno di protesta

Da leggere e meditare, anche a distanza di un anno:

Quando una persona arriva a darsi fuoco per protesta vuol dire che intorno a sé non vede più nessuna forma di speranza, se non l’ultima, estrema: che non rimanga un gesto vano, ma serva di esempio, fornisca ad altri, soprattutto a quelli contro cui è rivolto, la possibilità di pensare, di riflettere.

Tra i primi, fu il fuoco del monaco buddista Thich Quang Duc, a Saigon, nel 1963, contro il regime sudvietnamita.

Cinquant’anni fa, il 16 gennaio 1969, l’estremo sacrificio di Jan Palach, in piazza San Venceslao, a Praga, per protestare contro l’invasione sovietica e il regime comunista cecoslovacco.


Con il fuoco – oltre a Jan Palach – morirono anche: Ryszard Siwiec, Jan Zajic, Sandor Bauer, Oskar Brusewitz, Roman Kalanta, Elijah Rips, Vasyl Makuch, Musa Mamut; in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Germania Est, Lituania, Lettonia e Unione Sovietica. Tutti uniti dalla disperata volontà di protestare contro i regimi comunisti. Più di recente hanno scelto il fuoco anche molti monaci tibetani, come Rigzin Phuncchog, per protesta contro il regime cinese che ha occupato la loro terra.

Il fuoco umano è tornato ad ardere anche in Francia, a più di 42 anni dal gesto estremo di Alain Escoffier. Era il 10 febbraio 1977, trentesimo anniversario del Trattato di Pace che sanciva la spartizione dell’Europa, quando lo studente, di 27 anni, si diede alle fiamme a Parigi, sugli Camps Helisée, davanti alla sede dell’Aeroflot (compagnia aerea sovietica), anche lui per protesta contro il comunismo.

CONTRO LA PRECARIETÀ
Quattro giorni fa, a darsi fuoco, a Lione, è stato uno studente di 22 anni, Anas Kournif, iscritto a Scienze politiche, che ha attuato il suo gesto estremo per protestare contro la precarietà e le politiche del governo Macron. Ha scelto di morire di fronte al Crous, l’opera universitaria che si occupa della vita degli studenti.

È stato soccorso immediatamente, ricoverato in ospedale in gravissime condizioni con il corpo ustionato al 90%, e ancora lotta tra la vita e la morte ma con poche speranze di sopravvivenza. Prima di passare all’azione il giovane ha espresso le sue motivazioni su Facebook.

«Oggi commetterò l’irreparabile, se ho scelto di colpire l’edificio del Crous non è una coincidenza, si tratta di un luogo politico, il ministero dell’Insegnamento superiore e della Ricerca, e quindi il governo… Non avevo una borsa, ma pure quando ce l’avevo, 450 euro al mese… vi sembrano sufficienti per vivere?». E ancora: «Accuso Macron, Hollande, Sarkozy e l’Ue di avermi ucciso, creando incertezze sull’avvenire di tutti». Per finire poi con: «Il mio ultimo auspicio è che i miei compagni continuino a lottare, per farla finita una volta per tutte. Viva il socialismo! Viva l’autogestione! Viva il Welfare!».

Kournif ha voluto, quindi, attirare l’attenzione sulla situazione economica di tanti studenti precari, usando il suo corpo come un mezzo per una rivendicazione sociale. Secondo l’Osservatorio della vita studentesca, infatti, solo il 45% degli studenti universitari francesi ha abbastanza soldi per vivere, mentre il 22% deve far fronte a importanti difficoltà finanziarie.

CONTRO LA DISOCCUPAZIONE
Il fuoco, come arma estrema di protesta e disperazione, è stato scelto, il 23 ottobre scorso, anche da un autotrasportatore di 38 anni di Monigo (Treviso). Alla base del gesto estremo dell’uomo, coniugato e padre di una ragazzina, ci sarebbe la disperazione per alcuni gravi problemi di salute che gli avrebbero impedito di continuare a lavorare come camionista e, quindi, di mantenere la sua famiglia. Ricoverato al reparto Grandi Ustionati di Padova è deceduto la settimana scorsa, dopo 18 giorni di atroci sofferenze.

CONTRO IL SILENZIO DEI MEDIA
Questi ultimi due casi hanno qualche cosa in comune, oltre alla volontà di immolarsi per protesta contro un sistema sociale sempre più inumano. Sono entrambi “ignoti”.

Chi di voi ne aveva sentito parlare, se non sui social o su qualche veloce flash di agenzia, privo di commenti e riferimenti. Silenzio sui Tg. Poche parole sui giornali per liquidarli come “gesti folli”, frutto di “menti deboli”. Quasi nessuno, in Italia, ha riportato le accuse di Kournif contro le politiche economiche di Emmanuel Macron, sebbene fosse uno studente “di sinistra”. Magari il camionista di Treviso, invece, era leghista.

Qui, però, non è più questione di “destra e sinistra”. Questi sono i primi martiri di quel popolo dei “non rappresentati”, vittime delle scellerate politiche economiche e sociali della globalizzazione. Un popolo che ha preso a battersi in tutto il mondo contro lo strapotere opprimente delle oligarchie mondialiste: potere ancora più forte e barbaro di quel comunismo contro il quale si accesero le “torce umane” del Novecento.