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Esodo e foibe tra dolore e memoria

Che l’esodo sia uno dei drammi più ricorrenti nella storia dell’umanità lo testimoniano molte pagine non solo letterarie ma anche sacre. Dall’Esodo inteso come secondo libro de La Sacra Bibbia e come sura coranica (Al-Hashr) a quello istriano portato in scena in questi giorni dalla tournée di Simone Cristicchi, insomma, il passo non è propriamente breve.

Quasi mai gli epiloghi degli esodi portano alla terra promessa, molto più spesso avviano gli esuli ad una vita in esilio, per dirla con Enzo Bettiza. Tra gli esodi più dimenticati, controversi e ancor poco conosciuti c’è certamente quello dei 350.000 italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, consumatosi negli anni quaranta del secolo scorso (e non solo). Uno di quegli esodi in cui «la strategia esplicita della “pulizia etnica” si compenetra con la dottrina implicita della “pulizia culturale”»[1].

La storia di quest’esodo è triste e fulminea: il 10 febbraio 1947 con il Trattato di Parigi l’Italia perse parecchi territori dell’Istria e della fascia costiera. Molte famiglie italiane furono costrette a lasciare le proprie case, le proprie città natali, le proprie radici. Nessuna terra promessa per loro, solo difficoltà, freddo, paura, insicurezza, tanta nostalgia. E morte: già dal 1943 in Istria furono migliaia le vittime italiane barbaramente massacrate dagli slavi di Tito e gettate nelle locali cavità carsiche dette foibe: si stringevano con filo di ferro i polsi alle vittime che erano legate tra loro, un colpo al primo della colonna e tutti i malcapitati precipitavano nelle cavità carsiche.

Lo scorso 4 gennaio è scomparso l’ultimo testimone di questo atroce massacro, Giuseppe Comand che nel 1943 – a soli 23 anni – con i Vigili del Fuoco di Pola riesumò le vittime italiane della pulizia etnica «bevendo cognac per cercare di resistere all’orrore»[2].

E’ a questi morti dimenticati che si aggiungono quei 350.000 giuliano-dalmati costretti ad abbandonare le proprie terre dell’Adriatico settentrionale vittime anch’essi di una volontà politica di «azzerare l’impronta secolare di civiltà urbane o rurali ritenute aliene, nell’intento di cancellare radicalmente, col ferro e col fuoco, culture e tradizioni diverse dalle proprie»[3].

Va infatti ricordato – e ben fa Claudio Magris a farlo in una recente intervista – che Tito e il suo esercito «vennero non a liberare, come ancora si scrive in alcuni libri di storia italiani, ma a occupare Trieste e l’Istria» e «a combattere la Resistenza italiana democratica»[4].

Il prezzo lo pagarono gli italiani che «da Fiume e da Zara erano nati in terre italiane, diventate tali dopo i Trattati di Rapallo del 1920 e di Roma del 1924» ma che erano «da secoli abitate da gente italiana»[5] poiché in quei microcosmi, per dirla proprio con Magris, alla colonizzazione romana era seguita nel Medioevo e sino alla fine del 1700 quella veneta. E poi oltre anche negli anni del Risorgimento poiché, ad esempio, «dal 1779 Fiume è stata un “corpo separato” del Regno d’Ungheria […] e così, i fiumani di lingua italiana sono stati fieri patrioti a un tempo italiani e magiari e hanno declinato la loro italianità in termini nettamente volontaristi difendendola con intransigenza sul piano culturale»[6].

Di ciò non tenne propriamente conto la strategia del Pci che invece avrebbe voluto annettere non solo l’Istria ma l’intero Friuli Venezia Giulia «alla Federativa Jugoslava tra le braccia della “grande madre” sovietica»[7] in ortodossia a quanto sostenuto dalla Direttiva del Comitato Centrale Comunista e dalla concernente corrispondenza riservata tra i comandi delle brigate garibaldine e i responsabili delle federazioni comuniste di Trieste, Gorizia e Udine[8].

Lo stesso Togliatti qualche mese dopo ribadiva con orgoglio che «nella Venezia Giulia operano unità partigiane dell’esercito di Tito, e vi operano con l’appoggio unanime della popolazione slovena e croata. Esse operano, s’intende, contro i tedeschi e i fascisti [..] E’ assurdo pensare che il nostro partito accetti di impegnarsi in una lotta contro le forze antifasciste e democratiche di Tito»[9].

Peccato che la situazione fosse del tutto diversa e che volontariamente non fu compresa come testimonia il consapevole e strumentale silenzio calato su questo esodo e sulle tristi vicende ad esso collegate: solo il 30 marzo 2004 la Legge n. 92 istituì il Giorno del Ricordo per conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati del secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.

Il dramma degli esuli italiani «è stato a lungo ignorato e rimosso; non solo da parte della sinistra per ignorante settarismo ideologico, ma di tutta l’Italia. Che negli anni Cinquanta non era un Paese comunista – non lo erano i governi democristiani o quadripartiti, non lo erano i grandi giornali, la Rai, la maggior parte delle case editrici»[10].

Una damnatio memoriae, però, che continuò ben oltre gli anni considerati da Magris e che ancora all’abbrivio del Terzo Millennio suscitò non poche polemiche dagli epigoni togliattiani quando ad esempio 75 storici reagirono stizziti alle incontrovertibili parole di Luciano Violante che finalmente da Presidente della Camera ammise come «nella storia scritta dai vincitori e nelle convenienze che segnarono la guerra fredda e che comportavano una particolare condiscendenza per Tito, le foibe dovevano ‘scomparire’ dalla memoria nazionale»[11].

Esemplare in tal senso anche la vicenda di Furio Lauri, aviatore italiano e medaglia d’oro al valor militare per meriti partigiani durante la Seconda guerra mondiale. Distintosi nella difesa di Roma l’8 settembre 1943 e poi eletto Presidente del gruppo medaglie d’oro al valor militare fu testimone oculare dei giorni in cui Zara fu «sottoposta a violenti bombardamenti aerei a tappeto, distrutta più di ogni altro capoluogo di provincia del nostro Paese». Le bombe alleate volute da Tito uccisero 4.000 persone e fecero a pezzi l'85% della città. Più di 900 italiani furono annegati, infoibati o sommariamente giustiziati, dalla polizia segreta titina che entrò a Zara nell’ottobre 1944[12].

In seguito all'esodo rimasero solo 12 famiglie italiane, su oltre 21.000 abitanti. Grazie alla sua opera di sensibilizzazione il 21 settembre 2001 il Presidente della Repubblica Ciampi firmò il decreto di conferimento della “Medaglia d’oro al valor militare al gonfalone” dell’ultima amministrazione italiana di Zara. La relativa, solenne cerimonia politico-militare convocata al Quirinale per la mattina del 13 novembre seguente, venne rinviata all’improvviso a data da destinarsi con risibili pretesti. Il decreto, mai revocato, comunque non avrebbe più avuto seguito[13].

In riferimento all’esodo istriano non stupisce, quindi che ancora oggi «pochi sanno che questa terra ha avuto la deportazione, l’esodo e l’esilio. Non so se nel resto d’Italia si sa che questa terra è quella che ha pagato di più in termini di vite umane, di violenze. Non tutti sanno che la sconfitta della Seconda guerra è stata pagata qui e solo qui. Qui c’è stato un dolore non condiviso dall’altra parte d’Italia. Un dolore che si è separato e che è stato separato»[14].

E che merita di essere raccontato, senza paura di dare agli articoli che lo fanno il titolo che meritano se non vogliamo continuare ad essere, oggi come ieri, “stranieri a casa”.

(Roberto Bonuglia, Accademia Nuova Italia)

[1] E. Bettiza, Esilio, Milano, Mondadori, 1996, p. 8. [2] L. Bellaspiga, Scomparso a 99 anni. Addio a Giuseppe Comand, l’ultimo testimone delle Foibe, in «Avvenire» del 4 gennaio 2020. [3] E. Bettiza, Esilio, Milano, Mondadori, 1996, p. 8. [4] C. Magris, Stranieri a casa. Il Dolore dell’esodo, in «La Lettura», del 5 gennaio 2020, p. 3 [5] D. Messina, Le dieci cose da sapere sulle foibe e l’esodo istriano fiumano dalmata, in «Corriere della Sera» del 10 febbraio 2019. [6] R. Pupo, La scelta europea dopo l’«urbicidio», in «La Lettura», del 5 gennaio 2020, p. 2. [7] S. Gervasutti, Il giorno nero di Porzus. La stagione della Osoppo, Venezia, Marsilio, 1997, p. 7. [8] Lettera di Vincenzo Bianco (Compagno Vittorio) a Mario Lizzero (Compagno Andrea) del 13 settembre 1944. [9] Lettera di Palmiro Togliatti (Vice Presidente del Consiglio dei Ministri) al Presidente Ivanoe Bonomi del 7 febbraio 1945. [10] C. Magris, Stranieri a casa. Il Dolore dell’esodo, in «La Lettura», del 5 gennaio 2020, p. 3 [11] L. Violante, Discorso di insediamento del Presidente della Camera, Roma, 9 maggio 1996. [12] F. Biloslavo, Presidente Mattarella, subito la medaglia d’oro a Zara, in «Il Giornale» del 11 febbraio 2015. [13] P. Simoncelli, Zara. Due e più facce di una medaglia, Firenze, Le Lettere, 2010. [14] L. Violante e G. Fini, Democrazia e identità nazionale. Riflessioni dal confine orientale, Trieste, Edizioni Università di Trieste, 1998.