"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

L'ex Parigi-Dakar si corre con il casco

Dopo i campionati mondiali di atletica leggera in Qatar e i Mondiali di calcio che si terranno lì nel 2022 sotto un sole giaguaro, la corsa al denaro continua nei campi petroliferi del pianeta.

È così che il rally Dakar, ex Parigi-Dakar esiliato per undici anni nei deserti delle Ande, partirà, il 5 gennaio, da Gedda, in Arabia Saudita. Cambio di sabbia, quindi. In programma, salita lungo il Mar Rosso da Al Wajh e Neom, poi direzione Riad e giro, nel sud del paese, da Wadi ad-Dawasir e Shubaytah prima del traguardo di Qiddiya.

Blah, dicono i dilettanti, finché guidiamo nel deserto, dov'è il problema?

Il problema è che, con il pretesto dello "sport che non fa politica", perdoniamo, in nome del denaro, le peggiori dittature del pianeta. Finché pagano, eh, perché porre domande?


L'Amaury Sport Organization (ASO) ha quindi firmato un contratto con il regno wahhabita per i prossimi cinque anni. E non importa se impiccano, lapidano, percuotono fino alla morte o tagliano gli avversari a rondelle mentre i motori ronzano tra le dune. "Non è un problema nostro!" proclamano gli organizzatori, seguiti da concorrenti come Hubert Auriol, tre volte vincitore della Parigi-Dakar, che ritiene: "Non possiamo chiedere alle persone che partecipano a una competizione sportiva di essere i portavoce dei problemi dei diritti umani in quei paesi. Non è il nostro ruolo".

È vero che corrono tutti con un casco in testa, versione moderna dei paraocchi. Permette di non vedere quanto avviene accanto.

Il tempo in cui si boicottavano le competizioni in nome della moralità è molto lontano e gli stessi che s'indignavano che si potesse frequentare il Sudafrica, durante l'era dell'apartheid, sono i primi ad avvicinarsi al giovane principe regnante, il molto corteggiato Mohammed bin Salman.

Ci diranno che la Dakar dipende da un'organizzazione privata, libera di contrattare con chi desidera. Certamente. Noteremo tuttavia, come ha fatto Le Monde, che la scelta dell'Arabia Saudita e la deriva consumistica che testimonia non sono del tutto "in sintonia" con la filosofia originale.

Soprattutto, si pone la questione della trasmissione di questo evento. È, da decenni, France Télévisions che se ne fa carico, e sarà ancora questa organizzazione di servizio pubblico che lo farà. Tuttavia, come sottolineato dalla Federazone Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) nel suo comunicato stampa, il gruppo contravviene al proprio statuto che afferma non soltanto che "la televisione di servizio pubblico deve essere considerata il punto di riferimento in materia di qualità e innovazione dei programmi, rispetto dei diritti umani, pluralismo e dibattito democratico", ma pure che "qualsiasi programma prodotto o acquisito dall'esterno deve rispettare i principi di questa carta".

Ma ora MBS irriga ovunque. I cortigiani non sono persone schizzinose e le monarchie petrolifere si rifanno una verginità attraverso lo sport.

Alcune persone si consoleranno puntando le dita sui vicini. Dopo la Supercoppa italiana, anche la Supercoppa spagnola si svolgerà sotto lo sguardo benevolo di MBS. Ma, almeno, il canale pubblico spagnolo TVE ha rifiutato di partecipare alla gara per la trasmissione dell'evento.

Non è da noi... ma è tanto tempo, già, che siamo stati venduti ai petrolieri...

(Marie Delarue su Boulevard Voltaire)