"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

L'idea di conservare le cose belle

Sir Roger Scruton (Buslingthorpe, Regno Unito, 27 febbraio 1944 - 12 gennaio 2020)



L’indole conservatrice è una proprietà acquisita delle società umane ovunque esse si trovino. Ma solo nei Paesi di lingua inglese — o, almeno, nella maggior parte di essi — esistono partiti e movimenti politici che si definiscono conservatori. Questo fatto singolare ricorda il divario enorme e poco noto che esiste fra i luoghi eredi della tradizione di uno Stato, come quello inglese, basato sulla common law e quelli che invece non ne sono eredi. La Gran Bretagna e l’America sono entrate nel mondo moderno accompagnate da una viva consapevolezza della loro storia comune. In seguito, nell’attraversare i traumi del XX secolo, i due Paesi si sono trovati schierati a fianco a fianco in difesa della civiltà che li univa e oggi, quando la Gran Bretagna, nel generale scontento del suo popolo, fa parte dell’Unione Europea, l’Alleanza Atlantica conserva tuttora un posto speciale negli affetti popolari, segno che gl’inglesi sono abituati a combattere per qualcosa di più grande dei loro comfort. E che cos’è questo qualcosa? Ai tempi di Margaret Thatcher (1925-2013) e di Ronald Wilson Reagan (1911-2004) la risposta a tale quesito si dava con una parola sola: libertà.

Libertà è però un termine che esige di essere contestualizzato: di quale libertà si parla? e come la si deve esercitare? quali sono i suoi limiti e la sua definizione?

In America è apparso un libro dedicato all’istituto medievale dell’habeas corpus, un ordine emesso in nome del re, che ingiungeva a chiunque detenesse uno dei suoi sudditi di rilasciare quella persona o di portarla in giudizio dinanzi a una corte reale. L’ininterrotta vigenza di questa prescrizione, sostiene l’autore, è alla base della libertà americana, in quanto ha reso il governo servo e non padrone del cittadino. In nessun luogo, tranne che nell’anglosfera, esiste qualcosa di equivalente all’habeas corpus e tutti i tentativi di limitarne l’estensione o gli effetti hanno scatenato fenomeni di rivolta nei popoli anglofoni. Questo istituto esprime nei termini più semplici possibili la relazione unica fra governanti e governati che si è creata nella common law inglese. Questa relazione fa parte della nozione conservatrice di libertà.

Nello spiegare e nel prendere le difese delle ragioni del conservatorismo, intendo dedicare dunque le mie osservazioni in primo luogo al mondo di lingua inglese, immaginando che il mio pubblico di lettori sia fatto di persone che concepiscono la condizione normale della società civile in termini di giustizia basata sulla common law, di democrazia parlamentare, di beneficenza privata, di senso civico e di “piccole squadre” di volontari, e che si tratti altresì di persone non ancora del tutto rassegnate a obbedire a un’autorità che decide dall’alto, come il Welfare State moderno, e ancor meno alle burocrazie transnazionali che si sforzano di assorbire quest’ultimo.

Vi sono due tipi di conservatorismo, uno metafisico, l’altro empirico. Il primo conservatorismo deriva dalla credenza nel sacro e dalla volontà di difenderlo contro la profanazione. Di questa credenza s’incontrano esempi in ogni momento della storia ed essa eserciterà sempre una forte influenza sulle vicende umane. Ci tornerò sopra nei capitoli conclusivi di questo libro. Ma per la maggior parte delle pagine che li precedono il mio interesse sarà rivolto a questioni più terra-terra. Nella sua manifestazione empirica, il conservatorismo è un fenomeno specificamente moderno, una reazione ai grandi cambiamenti scatenati dalla Riforma e dall’Illuminismo.

Il conservatorismo che io professo afferma che noi, in quanto collettività, abbiamo ereditato delle cose buone e dobbiamo sforzarci di conservarle. Noi, eredi della parte anglofona della civiltà occidentale, sappiamo bene che cosa sono queste cose buone nella condizione in cui oggi ci troviamo: l’opportunità di vivere la nostra vita come vogliamo; la certezza dell’imparzialità del diritto, che fa sì che le nostre istanze di giustizia trovino risposta e le offese subìte siano riparate; la tutela dell’ambiente come patrimonio di tutti e che non può essere espropriato o distrutto a capriccio degl’interessi dei potenti; una cultura aperta e viva, che ha plasmato le nostre scuole e università; il metodo democratico, che ci permette di eleggere chi ci rappresenta e di promuovere quelle leggi che vogliamo siano promulgate: queste e molte altre cose ci sono ormai familiari e le diamo per scontate.

Ma tutte queste cose sono oggi in pericolo e il conservatorismo è la risposta razionale a tale pericolo. Forse si tratta di una risposta che richiede doti di comprensione maggiori di quelle che la gente comune è disposta a dedicarle. Ma il conservatorismo è l’unica risposta alle realtà che oggi ci si prospettano: in questo libro cercherò di dire, quanto più succintamente mi riuscirà, perché sarebbe irrazionale darne una diversa.

Il conservatorismo nasce dal sentimento, che tutte le persone mature possono perfettamente condividere, secondo cui è facile distruggere le cose buone, ma non è facile crearle. Ciò è particolarmente vero per le cose buone che ci arrivano sotto forma di patrimonio collettivo: la pace, la libertà, la legge, la civiltà, il senso civico, la sicurezza della proprietà e della vita familiare. In ciascuno di questi àmbiti noi dipendiamo dalla collaborazione degli altri: non abbiamo alcun mezzo per conseguire da soli tali cose. Se distruggere queste cose è rapido, facile e anche divertente, il lavoro per produrle è, invece, lento, laborioso e noioso. Questa è una delle lezioni che il XX secolo ci lascia in eredità ed è anche uno dei motivi per cui i conservatori si trovano svantaggiati quando si tratta di rivolgersi all’opinione pubblica: la loro posizione è quella vera, ma ha la tendenza ad annoiare, mentre quella dei loro avversari appare avvincente, sebbene sia falsa.

Come conseguenza di questo handicap retorico, i conservatori spesso dipingono la loro causa usando i colori del lutto. Però, le lamentazioni travolgono tutto quanto si trovano davanti, come accadde nelle Lamentazioni del profeta Geremia (dopo 650-dopo 586 a.C.), proprio come la letteratura rivoluzionaria spazza via il mondo delle nostre fragili conquiste. E il lutto a volte è necessario: senza quella «elaborazione del lutto» descritta da Sigmund Freud (1856-1939) il nostro cuore non riesce a passare dalla cosa che si è persa alla cosa che la sostituirà. In ogni modo, però, gli argomenti conservatori non vanno proposti con accenti eccessivamente elegiaci. Non si tratta di quanto abbiamo perso, ma di ciò che abbiamo conservato e di come continuare a conservarlo. Ed è questa la tesi cui ho dedicato questo libro, che concludo con una nota più personale, con un commiato che proibisce il lutto.

Mi sono stati assai utili i commenti critici di Bob Grant, Alicja Gescinska e Sam Hughes. Non sarebbe stato possibile mettere i miei pensieri su carta senza l’ispirazione, lo scetticismo e, talvolta, l’ironia di mia moglie Sophie: dedico il risultato a lei e ai nostri figli.

Roger Scruton
Malmesbury (Wiltshire), gennaio 2014

IL MIO VIAGGIO

Non è cosa insolita essere un conservatore, ma è insolito essere un intellettuale conservatore. In Gran Bretagna, come in America, circa il settanta per cento degli accademici si definiscono “di sinistra”, mentre la cultura circostante si rivela sempre più ostile ai valori tradizionali e a qualsiasi accenno alle grandi conquiste della civiltà occidentale. Ai conservatori normali — e molte persone, probabilmente la maggior parte, rientrano in questa categoria — si dice continuamente che le loro idee e i loro sentimenti sono reazionari, pieni di pregiudizi, sessisti o razzisti. Il solo fatto di essere quello che sono viola le nuove norme inclusive e non-discriminatorie. I loro onesti tentativi di vivere secondo le loro idee, crescendo delle famiglie, partecipando alla vita della comunità, adorando i propri dèi e dotandosi di una cultura stabile e positiva, sono disprezzati e ridicolizzati dalla categoria dei lettori del Guardian. Negli ambienti intellettuali i conservatori devono quindi muoversi in silenzio e con circospezione, cercandosi l’un l’altro con gli occhi, guardandosi intorno nella stanza come fanno gli omosessuali nei romanzi di Marcel Proust (1871-1922), che quel grande scrittore paragonava agli dèi di Omero, noti solo l’uno all’altro, dal momento che essi si muovevano in incognito nel mondo dei mortali.

Noi, i presunti esclusori, siamo sollecitati a nascondere ciò che siamo per paura di essere esclusi. Io ho resistito a questa pressione e il risultato è stato che la mia vita è diventata assai più interessante di quanto avrei mai pensato sarebbe stata.

Sono nato verso la fine della Seconda Guerra Mondiale e sono cresciuto in una famiglia della piccola borghesia. Mio padre era un sindacalista e membro del partito laburista, il quale si chiedeva sempre se, diventando un insegnante di scuola elementare, avesse tradito le sue origini operaie. Perché la politica, agli occhi di Jack Scruton, non era altro che la prosecuzione della lotta di classe con altri mezzi. Grazie ai sindacati e al partito socialista, egli credeva che la classe operaia avesse cominciato a mettere all’angolo le classi alte, le quali sarebbero quindi state costrette a restituire i beni rubati al popolo. L’ostacolo principale a questo auspicato traguardo era il partito conservatore, un conglomerato di grandi imprese, palazzinari e aristocratici terrieri intenti a vendere il patrimonio del popolo britannico al miglior offerente per poi andarsene alle Bahamas. Jack si riteneva impegnato in una lotta perenne contro questo establishment, in nome dei contadini anglosassoni, i cui diritti originari erano stati depredati dai cavalieri normanni un migliaio di anni prima.

Era una storia che secondo lui trovava conferma nei manuali scolastici, nei libelli socialisti di William Morris (1834-1896) e di Harold John Massingham (1888-1952), nonché nella sua stessa esperienza di una infanzia vissuta nei quartieri poveri di Manchester, da cui era fuggito verso uno dei residui brandelli di Vecchia Inghilterra in prossimità del Tamigi. Lì, grazie a un corso intensivo di formazione per insegnanti, riuscì a sistemarsi e a sposare mia madre, che aveva conosciuto quando entrambi erano in servizio presso il Bomber Command della Royal Air Force durante la guerra. E il suo amore per la Vecchia Inghilterra crebbe in lui a gomito a gomito con il rancore verso gli aristocratici, che l’avevano fatta sparire. Credeva nel socialismo, ma non come dottrina economica, bensì come modo per restituire alla gente comune una terra che era sua.

(Estratto da: Roger Scruton, Essere conservatore, a cura di Oscar Sanguinetti)