"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Popolo sovrano e popolo bue

Non è questione di metonimia o di sineddoche. È che manifestando, pesciolini o gattini non fa differenza, al grido di "quando il popolo scende in piazza, deve essere ascoltato", si confonde la parte per il tutto e si prende in giro l'opinione pubblica. Quanto volutamente, non è dato sapere. Il concetto di popolo è infatti più vasto di quanto vorrebbe far credere la minoranza, ma fosse pure maggioranza, gargarizzante per le strade. Inoltre è sempre vivo il rischio che il tanto decantato popolo sovrano si trasformi (è accaduto, accade, accadrà di nuovo) in popolo bue. Anche i preti, allorché battezzarono i loro settimanali diocesani con nomi come Il Popolo, La Vita del Popolo, La Voce del Popolo, La Difesa del Popolo e così via, erano ben consapevoli della mistificazione, spacciando per l'intero e complessivo soltanto l'interesse di una porzione (la loro, il "popolo di Dio" nella migliore delle ipotesi) che fu a lungo anche un partito.

Nel diritto romano è lo Stato ad avere il nome ufficiale di populus romanus; "nel linguaggio non ufficiale è la res publica, cioè la cosa del populus: il popolo ci riporta all'idea della comunità (Pasquale Voci). Ma che comunità rappresentano questi che oggigiorno sfilano inneggiando? La loro, certamente non quella nazionale, in un periodo di vaste, ampiamente descritte, largamente rappresentate maggioranze silenziose e di taciti dissensi, di opposizioni covate più o meno nel segreto che poi si palesano nelle tornate elettorali, eccome se si palesano.

I manuali di diritto pubblico descrivono il popolo come l'elemento personale dello Stato: individui raccolti in comunità che formano l'ente sovrano, l'istituzione corporativa, la comunità. Popolo è, insomma, "l'insieme degli individui conviventi in un determinato territorio, sotto la potestà di un proprio governo, retti ed organizzati da un ordinamento giuridico originario" (Lavagna). Rilevano, per la sua definizione, criteri come la sudditanza e la cittadinanza. Ed è idea che va assolutamente tenuta distinta da quelle di popolazione (concetto non giuridico, ma demografico o statistico) e di nazione (nozione politica e sociologica, storica e culturale).

Nota Francesco Lamendola (qui) che "al fondo del pensiero degli umanisti, degli illuministi, dei positivisti, insomma di tutti i progressisti di ogni tendenza e sfumatura, c’è l’idea che il popolo è sprofondato nell’ignoranza e nella superstizione; che non sa quello che vuole, né sa capire quel che è bene per lui; e che quindi deve essere guidato, deve essere perfino costretto, se necessario, a mettersi sulla giusta strada e a fare quello che è giusto faccia. Ora, i progressisti, per definizione, sono quelli che dicono di avere a cuore le sorti del popolo; sono quelli che denunciano l’egoismo delle oligarchie e proclamano che il liberalismo e la democrazia non sono due ideologie fra le tante, ma l’approdo finale e inevitabile della storia umana; sono anche quelli che, da sempre, accusano i conservatori di disprezzare il popolo, di non pensare a esso e di preoccuparsi unicamente della loro convenienza. Eppure, e ormai la cosa è sotto gli occhi di tutti, i progressisti sono quei signori che, davanti alla globalizzazione, hanno fatto la loro irrevocabile scelta di campo: per la grande finanza, le multinazionali e i poteri forti e contro la sovranità, l’identità e la libera auto-determinazione dei popoli. Eppure, tradizionalmente i progressisti guidano i partiti di sinistra, e i partiti di sinistra chiedono e prendono i voti tra le fasce popolari più modeste, e in particolare nella classe operaia prodotta dalla rivoluzione industriale".

Saremmo dunque in presenza di un cortocircuito. Di fronte al quale è opportuno ed essenziale precisare "che “popolo”, una parola che si dovrebbe sempre adoperare con cautela, indica per noi quella parte della popolazione che ha conservato un’anima, un’identità e una tradizione, perché è rimasta legata alle proprie radici, anche in senso fisico (la casa, il paese o il quartiere) e non ritiene che il denaro e i beni materiali rappresentino il proprio orizzonte esistenziale. In questo senso il popolo è una realtà che sta sparendo; e tuttavia la sua sopravvivenza è forse più tenace di quel che non appaia a prima vista, e s’ingannano gli intellettuali progressisti nel considerarlo già sparito e pronto ad essere sostituito da masse indifferenziate di consumatori e contribuenti, prese all’amo con l’esca dei diritti civili e intanto spogliate sia dei loro beni materiali, sia della loro più profonda dignità di persone".

Andassero anche tutti e tutti i giorni in piazza. Non ci si lascerà ingannare.