"Ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno" (Benedetto Croce)

Scuse a quintali (che palle)

Cominciò improvvidamente il Polacco, pare con disappunto del Tedesco - dicono di averlo sentito sbraitare nelle sacre stanze. Da allora è stato tutto un fluire di scuse: per questo, per quello, per quell'altro. Adesso siamo alle scuse per le scuse delle scuse: un prete vuole scuse perché il vescovo ha chiesto scusa e poi arriverà magari il laico a chiedere le scuse del parroco che vuole le scuse del prelato e via di questo passo. Ma che stanno diventando?

Per dire, tanto per ricordare un po', non risultano scuse pervenute dalla Merkel o da quei Luterani tanto amici dell'Argentino perché quindicimila lanzichenecchi tedeschi (quasi tutti fanatici protestanti, rozzi soldati, bramosi di preda) portarono a compimento il famigerato Sacco di Roma e dagli spalti di Castel Sant'Angelo, dove s'era chiuso, Papa Clemente VII dovette assistere, senza che alcuno muovesse in suo soccorso, al miserando spettacolo della Città Eterna abbandonata a spaventevole saccheggio (maggio 1527). Potrà ancora negli anni seguenti Michelangelo attendere alla quasi sovrumana opera del Giudizio Universale nella Sistina e, verso la metà del secolo, riprendere con nuovi caratteri la costruzione di San Pietro e coronarla di cupola gigantesca; e altri architetti, scultori e pittori lavorare ancora per il Papa, per cardinali, per ricchi cittadini: ma la splendida Roma di Giulio II e di Leone X era, in seguito al sacco, tramontata per sempre.

La saggezza dei Latini ci ricorda che excusatio non petita accusatio manifesta: una scusa non richiesta è un'accusa manifesta. Scriveva Cesare Marchi che "il troppo zelo, sempre sconsigliabile, diventa in questo caso un boomerang". Come infatti sembra ragionevole constatare di questi tempi. "I contadini, che non sanno il latino ma ne hanno acquisito la sapienza, dicono: «La prima gallina che canta ha fatto l'uovo»".

Si chiede Alberto Arbasino: "La pratica del «chiedo scusaaa!» abituale e sistematico potrà spiegare il successo popolare di molte pubbliche irrisioni di massa per certi sistemi di idee già riverite e temute? I più petulanti si potrebbero addirittura abbandonare alle meschine soddisfazioni del «ve l'avevamo detto»? E i più astuti non incominceranno già a profondersi in smaccate scuse preventive e non richieste anche per le vassallate future, per poi ribattere col solito «abbiamo già dato» ad ogni richiesta di scuse fresche?". Ma "se dopo essersi abbondantemente scusati per un vasto assortimento di crimini abominevoli si incominciasse a pretendere fior di ringraziamenti in quanto complici responsabili anche delle opere di Verdi e Puccini, del teatro di Goldoni e Pirandello, dei Canti di Leopardi, della Pizza Margherita?". Inoltre, "quando i guai combinati sono grossi o grossissimi, oltre alle scuse non sarebbe doveroso anche un «fuori il malloppo», con interdizione dai pubbici uffici e da tutte le cariche?".

Per concludere: meglio sarebbe insomma tirare fuori gli attributi che tutte queste frivole, inutili, biasimevoli, pallosissime e pelosissime scuse.